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Esperto israeliano lancia l’allarme: “L’Iran sta per diventare una potenza nucleare”

Intervistato da “Agenzia Nova”, l’analista israeliano Raz Zimmt, dell’Alliance Center for Iranian Studies and The Institute for National Security Studies, dell’Università di Tel Aviv, definisce “allarmante” la situazione attuale

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Il fallimento dei tentativi di rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 e la volontà di Teheran di proseguire con lo sviluppo del suo programma nucleare stanno mettendo a serio rischio la stabilità della regione del Medio Oriente. Dopo l’ottimismo sul raggiungimento di un accordo tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sia da parte occidentale che iraniana, complice anche la guerra tra Russia e Ucraina, i colloqui si sono arenati, portando nuovamente i Paesi regionali, in particolare Israele e Arabia Saudita a fare pressioni sugli Stati Uniti per un “piano B” per impedire all’Iran di ottenere l’arma atomica ed evitare una proliferazione nucleare. Intervistato da “Agenzia Nova”, l’analista israeliano Raz Zimmt, dell’Alliance Center for Iranian Studies and The Institute for National Security Studies, dell’Università di Tel Aviv, definisce “allarmante” la situazione attuale in merito allo sviluppo del programma nucleare iraniano. “I progressi fatti dall’Iran dalla decisione di ritirarsi dagli impegni del Piano globale d’azione congiunto (il nome tecnico dell’accordo nucleare iraniano) nel 2019, un anno dopo la decisione di Donald Trump di ritirarsi dall’accordo, hanno raggiunto un punto critico dove Teheran è attualmente è sul punto di diventare una potenza militare nucleare”.

Secondo gli ultimi aggiornamenti forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’Iran starebbe intensificando ulteriormente l’arricchimento dell’uranio preparandosi a utilizzare avanzate centrifughe IR-6 nel suo sito sotterraneo di Fordow, che possono passare più facilmente da un livello di arricchimento all’altro. In un altro sito, l’Iran starebbe già arricchendo l’uranio fino al 60 per cento, percentuale molto vicina a quella del 90 per cento necessaria per poter produrre armi nucleari e molto al di sopra del tetto massimo stabilito dall’accordo sul nucleare del 2015 del 3,67 per cento. Lo scorso 8 giugno, a seguito della risoluzione di condanna presentata da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania al Consiglio dei governatori dell’Aiea, l’Iran ha disattivato ben 27 telecamere di sorveglianza piazzate dall’Agenzia Onu per monitorare le attività nei suoi siti nucleari.

Di fronte a questa situazione, per Raz Zimmt la questione ora “è quale sarà il passo successivo” di Teheran e ciò dipenderà dalla possibilità, o meno, di rilanciare realmente i negoziati per il rilancio dell’accordo sul nucleare. “Stiamo affrontando una posizione difficile ora. Da parte mia non penso che ci sia una possibilità di ritornare ai termini dell’accordo”, ha osservato l’analista israeliano, ricordando che tra i punti che ostacolano il raggiungimento dell’intesa vi è la richiesta da parte dell’Iran agli Stati Uniti di cancellare i Guardiani della rivoluzione, i cosiddetti pasdaran, dalla lista nera dei gruppi terroristici stilata dal dipartimento di Stato Usa. Denotando un forte pessimismo sul raggiungimento di un accordo di fronte alla situazione, Raz Zimmt sottolinea che anche in caso di un ritorno ad una forma di accordo solo alcuni dei progressi fatti da Teheran saranno reversibili. “Occorre essere consapevoli che non si potrà tornare all’accordo originale a causa dei progressi fatti a Teheran soprattutto in ricerca e sviluppo e nella produzione di centrifughe. C’è la possibilità di tornare indietro solo su alcuni punti”, afferma l’analista dell’Università di Tel Aviv.

L’altra opzione è il non ritorno al Jcpoa e “questo ci porta in una pericolosa posizione”, precisa Raz Zimmt. Infatti, per l’analista israeliano vi sono solamente tre opzioni per un cosiddetto “piano B”: proseguire con le sanzioni economiche; portare avanti la conduzione di attività sotto copertura in Iran per rallentare il programma nucleare; un attacco militare. In merito alla prima opzione, l’analista israeliano sottolinea che l’aumento di sanzioni, anche con un maggiore controllo dell’export petrolifero dell’Iran verso la Cina, potrebbe non avere un “grande impatto sulle decisioni di Teheran”.

La seconda opzione riguarda la cosiddetta conduzione di attività sotto copertura, impiegata molto da Israele, e mirata a ritardare lo sviluppo del programma nucleare iraniano. In questi anni, l’intelligence israeliana ha ucciso numerosi scienziati nucleari e ufficiali dei Guardiani della rivoluzione iraniana legati al programma nucleare e al programma missilistico iraniano. L’azione più eclatante è stata quella che nel novembre del 2020 ha ucciso nella cittadina iraniana di Absard, Mohsen Fakhrizadeh, considerato il responsabile del programma nucleare iraniano. L’omicidio sarebbe stato condotto con una mitragliatrice radiocomandata che ha colpito l’auto in cui si trovava a bordo lo scienziato iraniano, in un’operazione a cui avrebbero preso parte almeno 20 persone.

Come osserva Raz Zimmt, “questa è una possibilità, ma può solo ritardare i progressi del programma nucleare, non distruggere il programma nucleare iraniano”. A partire da marzo 2022, Israele ha condotto diverse operazioni anche contro funzionari e ufficiali dell’esercito ideologico responsabile di difendere la Rivoluzione iraniana: i Guardiani della rivoluzione, noti anche come pasdaran. Sulla stampa iraniana sono comparse a cadenza quasi settimanale notizie di morti “misteriose” di ufficiali dei Guardiani della rivoluzione, tra cui quella del colonnello dei pasdaran, Hassan Sayyad Khodaei, ucciso a colpi di arma da fuoco fuori dalla sua casa di Teheran lo scorso 20 maggio. Khodaei era il vicecomandante della cosiddetta Unità 840, una divisione segreta all’interno della Quds Force dei Guardiani della rivoluzione iraniana specializzata in rapimenti e omicidi di personalità al di fuori dell’Iran, compresi cittadini israeliani.

L’aumento del livello di tensione e l’ipotesi di un punto di non ritorno del programma nucleare iraniano hanno portato sul tavolo la possibilità di un attacco militare, da sempre considerata l’ultima opzione a causa non solo degli effetti imprevedibili sul piano regionale, ma anche della complessità della sua attuazione. “Quella militare è un’opzione che nessuno vuole utilizzare, ma è comunque sul tavolo. L’opzione è molto difficile, complicata, non solo per quanto riguarda l’aspetto operativo, ma anche perché implica uno stretto coordinamento tra Israele e gli Stati Uniti”, spiega l’analista israeliano, osservando anche un attacco rischierebbe di ritardare semplicemente il programma poco oltre un tempo limitato. “In base a quanto sappiamo, il programma nucleare iraniano è in una fase molto avanzata. La tecnologia è domestica, quindi non possiamo eliminare totalmente il programma nucleare ma solo ritardarlo e l’Iran sarebbe comunque capace nel tempo di riparare i danni”, ammette Raz Zimmt.

L’analista fa notare che le esercitazioni avvenute a fine maggio, dove è stato simulato un attacco preventivo contro l’Iran a cui hanno preso parte anche gli Stati Uniti, significano che “Israele vuole inviare un messaggio che l’opzione militare è sul tavolo”. I movimenti diplomatici di questi ultimi anni, in particolare gli Accordi di Abramo del settembre 2020 firmati da Israele e Paesi arabi come Emirati, Bahrein e Marocco, oltre alle relazioni ufficiose sempre più strette con l’Arabia Saudita, hanno portato ad un’alleanza regionale che potrebbe avere sviluppi anche sul piano militare per contenere l’Iran. Lo scorso 20 giugno, il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ha dichiarato che Israele sta lavorando per formare un’alleanza regionale di difesa aerea guidata dagli Stati Uniti contro l’Iran e che il gruppo ha già sventato tentativi di attacchi iraniani.

Il rischio di una proliferazione nucleare in Medio Oriente – e che quindi anche Paesi come Arabia Saudita, Egitto e Turchia avviino piani per dotarsi dell’arma atomica – non è da sottovalutare, ma secondo Raz Zimmt non è la questione principale. Per l’analista israeliano, il problema con l’Iran riguarda non solo il nucleare in sé, ma la combinazione di capacità nucleare militare e un regime specifico che non riconosce lo Stato di Israele che vuole rimpiazzare lo Stato ebraico con la Palestina. “Le preoccupazioni per l’Iran sono per queste specifiche questioni”, afferma Zimmit. Inoltre, secondo l’analista dell’Università di Tel Aviv, non è facile divenire uno Stato con una capacità nucleare di tipo militare.

“L’Arabia Saudita potrebbe ottenere i sistemi dal Pakistan. Altri Paesi potrebbero essere interessati a sviluppare la capacità nucleare in caso l’Iran ottenga la bomba atomica, ma ci vogliono comunque anni per giungere a questo punto. Continuo a pensare che in merito alla proliferazione nucleare, che è un processo pericoloso, il fatto che l’Iran diventi una potenza nucleare sia ad oggi la più grande minaccia, non tanto nel disporre di un’arma atomica, ma nell’avere raggiunto da sé questa capacità”, osserva l’analista. “Questo è uno sviluppo veramente significativo, perché potrebbe fornire all’Iran una sorta di assicurazione per la stabilità del regime e potrebbe far diventare il Paese una sorta di ombrello nucleare che potrebbe utilizzare per aumentare le provocazioni regionali”, dichiara l’analista israeliano.

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