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Egitto e Turchia, prove di riavvicinamento dopo anni di gelo

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Egitto e Turchia, due attori fondamentali nello scacchiere mediterraneo, potrebbero mettere da parte le divergenze e tornare a collaborare dopo anni di gelo. I segnali di apertura sono sempre più evidenti: dai colloqui sulla crisi in Libia sfociati nella riapertura dell’ambasciata del Cairo a Tripoli, stretto alleato di Ankara, al tacito riconoscimento della Zona economica esclusiva della Turchia nel Mediterraneo orientale. Questi sviluppi, peraltro, avvengono dopo la firma del cosiddetto “accordo di solidarietà” di Al Ula che ha posto fine all’isolamento del Qatar, campione della Fratellanza musulmana al potere anche in Turchia, da parte del Quartetto arabo composto da Arabia Saudita, Bahrein, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Le conseguenze geopolitiche della possibile “pax mediterranea” tra Il Cairo e Ankara potrebbero essere notevoli: gli interessi di questi due Paesi spaziano dalla Libia al Corno d’Africa, passando per lo sfruttamento delle risorse energetiche del Mediterraneo Orientale.


I rapporti tra Egitto e la Turchia sono notevolmente peggiorati a partire dal 2013, dopo l’estromissione dell’allora presidente egiziano Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli musulmani e alleato del presidente Tayyip Erdogan, da parte dell’allora ministro della Difesa Abdel Fatah al Sisi, oggi al potere al Cairo. Le divergenze sull’islam politico si legano, tuttavia, a interessi geopolitici ed economici di rilievo, tra cui lo sfruttamento delle risorse energetiche abbondanti nel Mediterraneo. L’Egitto, forte dell’alleanza con Cipro e Grecia, ha in questi anni pubblicamente contestato le iniziative di Ankara sulla delimitazione della propria Zona economica esclusiva con il Governo di accordo nazionale di Tripoli, raggiunta a fine 2019. Tuttavia, accanto alla diplomazia manifesta che traspare dai comunicati stampa ufficiali, Ankara e Il Cairo non hanno mai interrotto le comunicazioni, in virtù dei loro interessi comuni. E’ in questo contesto, che assumono importanza tre episodi recenti. A fine febbraio, l’Egitto ha annunciato l’avvio di una gara d’appalto per l’esplorazione e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale in 24 blocchi, inclusi alcuni nel Mediterraneo: a partire dal 28esimo meridiano, le mappe pubblicate dalle autorità egiziane seguono la “Mavi Vatan” turca (la cosiddetta “Patria Blu”, ovvero la mega Zona economica esclusiva che includerebbe porzioni di mare di Cipro e Grecia), pur senza riconoscerla.

Nel corso del fine settimana, il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha parlato di “valori comuni” che potrebbero portare a “sviluppi diversi” nei prossimi giorni. “Abbiamo molti valori storici e culturali in comune con l’Egitto. Riteniamo che potrebbero esserci sviluppi diversi nei prossimi giorni”, ha affermato Akar all’agenzia di stampa ufficiale turca “Anadolu”. Secondo Akar, l’Egitto ha “rispettato” i limiti della piattaforma continentale della Turchia quando il Cairo ha presentato una gara d’appalto per l’esplorazione di idrocarburi nel Mediterraneo orientale, circostanza decritta dal ministro come uno “sviluppo molto importante”. L’appoggio (endorsment) pubblico turco all’Egitto non può non essere legato all’imminente conferma del cambio di governo in Libia, dove l’esecutivo di unità nazionale del premier designato Abdulhamid Dabaiba dovrebbe ricevere a breve la fiducia del parlamento.

La “questione sui blocchi esplorativi nel Mediterraneo orientale guarda alla dimensione e alla competizione in quell’area e si lega ai confini marittimi non completamente demarcati”, ha dichiarato oggi ad “Agenzia Nova” Giuseppe Dentice, Head del desk Mena presso il Centro Studi internazionali (Cesi). L’esperto ha spiegato come “non sia un caso che il blocco in questione (EGY-MED-W18, ndr) andrebbe a porsi nell’area non riconosciuta dall’accordo fra Grecia ed Egitto firmato lo agosto”. Inoltre, il blocco esplorativo si colloca nella “fascia di mare che va dall’Egitto verso nord verso la zona contesa di (Catelrosso) Kastellorizo”. In seguito alla diffusione delle mappe con i blocchi esplorativi da parte del ministero del Petrolio del Cairo, Ankara ha reagito con plauso. Al contrario, la Grecia “ha visto un tentativo di voler trovare un accordo” sulla Zona economia”, generando “agitazione” ad Atene, ha spiegato Dentice.

L’Egitto, ha affermato l’esperto del Cesi, “sta cercando di muoversi su più contesti in modo slegato. Per Il Cairo la questione Mediterraneo orientale è strettamente legata alla situazione libica”. Proprio in vista della concretizzazione di un nuovo assetto in Libia, “in questa situazione c’è tentativo da ambo le parti (Turchia ed Egitto) a venirsi incontro attraverso un compromesso, che può essere merce di scambio in ottica libica”, ha proseguito. Secondo Dentice, “tuttavia, non è escluso che questa sorta di compromesso dia adito a nuove tensioni”, perché “Egitto e Turchia sono competitor nel quadrante ampio”.

La questione del Mediterraneo orientale e della Libia non è totalmente slegata, infatti, da quelle relative a Sudan e Mar Rosso, ”prioritaria per l’Egitto”, dove sono presenti anche i turchi. L’esperto ha evidenziato come ci siano sia tentativi di distensione, ma anche strategie per tenere la situazione sotto controllo, “anche per evitare di farsi percepire troppo remissivi dall’una o dall’altra parte”. Ricordando come dal punto di vista diplomatico in maniera ufficiosa Turchia ed Egitto continuino a parlarsi per comuni interessi, ma che vi sono anche divergenze su alcuni temi importanti, Dentice ha affermato: “Questi tentativi sono importanti perché c’è un tentativo di cambiare un minimo il modo di relazionarsi tra le parti. Può essere un primo passo verso altri temi”. In un’ottica di scenario, sarà necessario “capire come si svilupperanno i tentativi su Libia e Mediterraneo, punti clou dove si svilupperà la diplomazia turca ed egiziana”, ha concluso.

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