Indice di liquidità al 176 per cento, grado di qualità del patrimonio al 16,2 per cento e livello di redditività che sfiora il 9 per cento: numeri, coefficienti e indici rivelano che sono quasi impossibili impatti significativi sulle banche italiane dalle due crisi che hanno interessato la Silicon Valley Bank negli Stati Uniti e Credit Suisse in Svizzera. Una situazione di tranquillità, evidenzia la Federazione autonoma bancari italiani (Fabi), che riguarda tutto il settore bancario europeo.
La Vigilanza dell’Ue e le autorità finanziarie europee, che hanno norme più stringenti e impongono controlli differenti e maggiori rispetto a quelle dei due Paesi degli istituti falliti, hanno fatto tesoro di quanto accaduto con la precedente crisi globale del 2008 e hanno ampliato il proprio lavoro, chiedendo alle banche di rafforzare soprattutto la loro posizione patrimoniale e i requisiti di liquidità, spiega la Fabi. Un sacrificio durato anni che però oggi porta i suoi frutti: gli istituti di credito dell’area euro, che tra l’altro sono per nulla presenti in Silicon Valley Bank, sono solidi e meno esposti alle turbolenze finanziarie di questi giorni. Per comprendere a pieno questa solidità, è sufficiente analizzare i dati relativi a settembre 2022 e che interessano le più importanti banche dei principali Paesi europei. Complessivamente, in Europa sono 111 gli istituti di credito significativi. Il totale degli attivi di questi complessivamente ammonta a ben 27.770 miliardi di euro e quello dei profitti supera i 92 mila miliardi. Analizzando nel dettaglio le prime quattro nazioni, l’Italia con 12 banche significative è al quarto posto per totale di attivi (2.833 miliardi di euro) e per profitti (12.873 miliardi di euro), con un roe (return on equity) dell’8,95 per cento, al di sopra della media dell’Ue.
La Germania (21 istituti significativi), registra attivi per 5.315 miliardi, profitti per 10.066 miliardi, con un roe ancora più basso, al 5,19 per cento. Prima dell’Italia, per attivi (3.875 miliardi) e profitti (17.813), si colloca la Spagna, che incassa un roe al 10,53 per cento. Non sono solo i coefficienti patrimoniali e di redditività a dare uno spaccato ancora più preciso di quanto gli istituti europei siano solidi. Dai numeri dei principali istituti di credito italiani, emergono indicazioni più che positive e rassicuranti per il settore. L’Italia, con una massa di attivi pari alla metà di quella tedesca e a circa un terzo di quella francese, vanta un roe (return on equity) superiore non solo alla media europea, ma anche ai principali concorrenti dell’area euro (Italia: 8,95 per cento, media europea: 7,50 per cento), una percentuale relativa al cost/income pari al 64,2 per cento, un Cet1 che si attesta in media al 14,7 per cento rispetto all’8 per cento stabilito come valore minimo dalla Bce e un Tier1 al 16,2 per cento. Senza dimenticare che gli indici patrimoniali delle banche italiane di minore dimensione raggiungono in taluni casi valori ben più alti, a testimonianza che anche le piccole realtà hanno rafforzato il proprio patrimonio per fronteggiare eventuali altre crisi sistemiche. Tornando ai grandi gruppi bancari, valori simili all’Italia li troviamo in Germania (cost/income al 69,2 per cento, Cet1 al 14,9 per cento e Tier1 al 16,1 per cento) e in Francia (cost/income al 67,9 per cento, Cet1 al 15 per cento e Tier1 al 16 per cento). La Spagna, invece, mostra più “fragilità” pur rimanendo su valori sufficienti per rispondere a eventuali crisi, ma decisamente più bassi delle altre tre nazioni: il cost/income è al 49,8 per cento, Cet1 al 12,5 per cento e Tier1 al 14 per cento.
A questi valori, poi, si aggiungono i coefficienti relativi a npl e liquidità. Il rapporto tra totale crediti e non performing loan dell’Italia si attesta al 2,6 per cento, dimostrando gli effetti positivi delle politiche di de-risking, in coerenza con i principali piano industriali delle banche degli ultimi anni. Le banche italiane vantano un profilo di liquidità solido e robusto, con un indicatore (Lcr ratio) del 176 per cento, ampiamente distante dal 100 per cento minimo stabilito dalle regole di Basilea. Quest’ultimo si attesta al 147 per cento per la Germania e per la Francia e al 193 per cento per la Spagna. Quanto al rapporto tra crediti e npl, per le più importanti banche tedesche è allo 0, 93 per cento, per le francesi allo 1,8 per cento e per le spagnole al 2,7 per cento, mentre per quelle italiane è al 2,6 per cento. Quanto, all’origine dei ricavi dei 111 istituti di credito presi in esame dai dati Bce, complessivamente, gli interessi netti portano nelle casse 206.908 miliardi di euro, le commissioni 119.992 miliardi, i proventi operativi 376.071 miliardi. Le 12 banche italiane analizzate si attestano rispettivamente a 24.189 miliardi di interessi netti, 19.462 miliardi di commissioni e 50.065 miliardi di proventi operativi, con un rapporto interessi/ricavi al 48,32 per cento e commissioni/ricavi al 38,87 per cento.
In linea con i dati degli attivi e dei profitti, anche in questo caso l’Italia è quarta nell’area euro, dietro a Francia (53.660 miliardi, 41.850 miliardi, 119.070 miliardi e i due rapporti al 45,07 per cento e 35,15 per cento), Spagna (52.980 miliardi, 19.328 miliardi, 74.604 miliardi, 71,01 per cento e 25,91 per cento) e Germania (26.026 miliardi, 19.767 miliardi, 53.750 miliardi, 48,42 per cento e 36,78 per cento). Assieme agli istituti di credito di Germania, Francia e Spagna, quelli italiani vantano un giusto mix di ricavi che, congiuntamente alla qualità degli assets e alla buona patrimonializzazione, consente di resistere e di rispondere prontamente ai cambiamenti che intervengono nel contesto economico e nella regolamentazione. “La solidità finanziaria delle banche italiane – spiega il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni – dipende da tre fattori cruciali: le regole e i controlli efficaci della vigilanza, la qualità professionale dei vertici dei gruppi e la resilienza assicurata dalle lavoratrici e dai lavoratori che con il loro impegno, la serietà e lo spirito di abnegazione hanno fornito un formidabile contributo alla tenuta e alla stabilità del settore bancario italiano in un periodo di profonda trasformazione non privo di incertezze, sia quelle legate alla pandemia sia quelle derivanti dalla guerra in Ucraina. Si tratta di un dato di fatto, di un merito che andrà adeguatamente riconosciuto, dalle banche, anche dal punto di vista economico, in occasione del rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro che sarà al centro del prossimo negoziato. Il lavoro ha consentito alle banche italiane di compiere un salto di qualità estremamente significativo sotto tutti i punti di vista: per gli indici di liquidità, la bontà del patrimonio e il livello di redditività, tutti e tre superiori alla media europea”.
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