Dai missili che non hanno funzionato a un tentato golpe militare: la situazione in Armenia sembra farsi sempre più incandescente dopo che il premier, Nikol Pashinyan, ha accusato i vertici delle Forze armate di voler mettere in atto un golpe. Lo scontro fra il primo ministro e gli ufficiali dell’Esercito è sorto in seguito alle sue oramai note dichiarazioni sul mancato funzionamento dei missili Iskander di produzione russa durante la guerra contro l’Azerbaigian avvenuta alla fine dello scorso anno. La reazione dei militari non si è fatta attendere, tanto che il primo vice capo di Stato maggiore delle Forze armate armene Tiran Khachatryan, interpellato da alcuni giornalisti, si è fatto “una lunga risata” e ha affermato che “è impossibile” che gli Iskander non abbiano funzionato. L’escalation della crisi ha portato, prima all’estromissione di Khachatryan; alla successiva richiesta dei vertici delle forze armate di dimissioni di Pashinyan; e poi alle dichiarazioni del premier sul tentato golpe militare. Insomma, non una giornata come tante altre in Armenia, che ha trovato il suo culmine nel corteo organizzato e guidato dallo stesso primo ministro che, da Piazza della Repubblica nel pieno centro di Erevan, ha “ordinato” ai militari a obbedire ai suoi ordini e intimato all’opposizione di non superare “i limiti” nelle sue azioni di protesta.
Tutti i militari dell’Armenia devono proteggere i confini e garantire l’integrità territoriale del Paese, ha detto il premier armeno nel suo discorso alla nazione. “Questo è un mio ordine diretto e nessuno può violarlo”, ha detto Pashiyan. “Il popolo armeno non consentirà un golpe militare”, ha aggiunto il primo ministro. Secondo Pashinyan, l’Esercito armeno non dovrebbe più essere coinvolto nella politica attiva: i militari devono obbedire al popolo e al governo legittimamente eletto. “Nelle Forze armate ci sono dei ‘controllori’ delle autorità precedentemente in carica nel Paese e dovrebbero andarsene”, ha detto Pashinyan. È un filo sottile quello su cui sta camminando il premier armeno, da tempo nel mirino dell’opposizione per la gestione della guerra contro l’Azerbaigian dello scorso anno e per la susseguente firma di un accordo di cessazione delle ostilità considerato troppo svantaggioso e lesivo degli interessi nazionali. E anche all’opposizione, Pashinyan si è rivolto dalla piazza centrale di Erevan, affermando che spetta al popolo armeno decidere se dovrà rassegnare le dimissioni. “Solo le persone possono risolvere questi problemi. Lasciate che sia la gente a chiederlo, che la gente mi condanni, che mi fucili in piazza”, ha detto il primo ministro, annunciando di voler ritirare la proposta rivolta all’opposizione di tenere elezioni parlamentari anticipate alcune settimane fa. “I miei sostenitori non le vogliono”, ha detto il premier armeno, minacciando di arrestare i suoi oppositori qualora oltrepassino il limite delle affermazioni politiche.
È un discorso energico quello di Pashinyan, rivolto a circa un migliaio di persone e svoltosi, oggettivamente, senza tenere conto di tutte le accortezze imposte dalla pandemia di Covid-19. Ma quel che emerge da questa giornata è un Paese spaccato a metà, con una fetta di popolazione che sembra voler restare al fianco del premier; e una parte dell’élite politica legata al Partito repubblicano che ha guidato l’Armenia negli ultimi vent’anni che, invece, vorrebbe ripristinare lo status quo precedente all’ascesa al potere di Pashinyan avvenuta nel 2018. Al momento quel che è chiaro è che anche una trentina di ufficiali della polizia armena hanno sottoscritto la richiesta di dimissioni del premier avanzata dai vertici militari. In questo contesto, la sensazione è che il governo non abbia il pieno controllo di Forze armate e dell’ordine, e ciò potrebbe favorire lo spettro politico che si oppone a Pashinyan. L’ex primo ministro armeno e attuale figura di spicco dell’opposizione, Vazgen Manukyan, ha chiesto di bloccare con delle barricate le strade che conducono al palazzo del Parlamento per costringere i deputati a rimuoverlo dall’incarico di primo ministro. “Non andremo da nessuna parte, resteremo qui, bloccando le strade con delle barricate in modo che i parlamentari lo obblighino a dimettersi. Perdere quest’opportunità significa perdere la vostra patria”, ha detto Manukyan che, con queste parole, non sembra intenzionato ad avviare un dialogo con il governo.
Una situazione che resta quindi molto tesa a livello interno e che ha destato particolare attenzione anche fra gli altri attori regionali, più o meno vicini alle posizioni dell’Armenia. Dalla Russia è giunto il canonico commento del Cremlino che, per bocca del portavoce Dmitrij Peskov, ha fatto sapere di non voler commentare la crisi in atto, derubricandola come una questione interna dell’Armenia. Ancora peggiore, tuttavia, è la reazione del ministero della Difesa russo, secondo cui Pashinyan sarebbe stato tratto “in errore” dato che nessuno dei missili Iskander sarebbe stato utilizzato durante il conflitto con l’Azerbaigian avvenuto fra il 27 settembre e il 9 novembre del 2020. Un commento che sembra confermare come fra lo storico alleato russo e l’attuale leadership armena ci siano delle divergenze. Più dure, inevitabilmente, le parole del presidente azerbaigiano, Ilham Aliyev, che nel corso di un’intervista ha detto che “l’Armenia non è mai stata in una fase di crisi così deplorevole” e che la causa di tutto ciò sono i governi che si sono succeduti negli anni a Erevan, attaccando così sia l’élite politica repubblicana, sia i fedeli a Pashinyan. L’intervento più singolare, tuttavia, è quello del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha fermamente condannato il golpe – o presunto tale – avvenuto in Armenia. È certamente un commento significativo, soprattutto data la distanza di posizioni che da sempre contraddistingue Turchia e Armenia, due Paesi che non hanno relazioni diplomatiche.
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