Garantire le risorse necessarie per far fronte alle crisi umanitarie che affliggono una regione da anni ormai alle prese con l’instabilità cronica e con prolungati periodi di siccità e carestia, programmare una risposta alle emergenze ed esplorare le opportunità e le possibili soluzioni pratiche a lungo termine, incluso il contrasto ai cambiamenti climatici e l’adattamento climatico delle popolazioni. È con questi obiettivi che le Nazioni Unite hanno ospitato oggi a New York la Conferenza umanitaria sul Corno d’Africa 2023, organizzata quest’anno dall’Italia insieme ai governi di Qatar, Stati Uniti e Regno Unito, in collaborazione con i governi di Etiopia, Kenya e Somalia. Un’iniziativa, quella italiana, che conferma il rinnovato impegno del nostro Paese in un’area in cui la presenza è andata scemando sensibilmente negli ultimi anni ma che, specie con l’entrata in carica del governo guidato da Giorgia Meloni, sembra nuovamente attirare l’attenzione dell’Italia che intende giocare un ruolo propositivo in Africa orientale, in linea con il già più volte annunciato “Piano Mattei” per l’Africa. Un piano, cioè, ispirato ad una filosofia non predatoria ma di partenariato e di aiuto allo sviluppo e che sarà presentato formalmente ad ottobre a Roma in occasione della conferenza Italia-Africa.
Il messaggio è stato ribadito dal ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, il quale è intervenuto alla conferenza con un video messaggio trasmesso da Roma. “Il Corno d’Africa, regione cruciale per la stabilità del continente africano, è colpito da una delle peggiori siccità del nostro tempo: decine di milioni di persone hanno bisogno di aiuto per l’emergenza umanitaria. È essenziale garantire che le risorse necessarie possano sostenere la risposta umanitaria nel Corno d’Africa. A questo proposito, credo – anche nell’approccio che ho adottato come vicepresidente della Commissione europea e come presidente del Parlamento europeo – che dobbiamo guardare all’Africa attraverso una prospettiva africana. Dobbiamo lavorare insieme per soddisfare i bisogni africani con soluzioni africane. L’obiettivo di questa conferenza, fortemente voluta dal governo italiano, è dare visibilità alla situazione critica di milioni di persone nella regione e mobilitare il necessario sostegno da parte dei donatori”, ha affermato Tajani, annunciando che il governo italiano stanzierà 40 milioni di euro per i Piani di risposta umanitaria delle Nazioni Unite e altri 30 milioni di euro alle iniziative di sviluppo, per un totale di 70 milioni di euro.
La conferenza odierna – ha proseguito il vicepremier durante un incontro con la stampa tenuto sempre oggi in Farnesina – rientra nella volontà italiana di essere più presente nel continente africano, nella convinzione che dialogo e investimenti siano le strade maestre da seguire non solo per risolvere il tema dell’immigrazione clandestina in Europa, ma più in generale per rafforzare il legame con Paesi che cercano interlocutori in Italia e nell’Unione europea. “Spesso i Paesi africani vengono dimenticati dagli europei e finiscono per doversi rivolgere ad altri investitori, come la Russia o la Cina, che sono molto presenti nel continente”, ha detto Tajani, ribadendo che è invece volontà del governo di essere maggiormente presenti. “Vogliamo tornare ad essere protagonisti con una serie di iniziative, sia italiane che europee, vogliamo migliorare il paradigma della cooperazione mobilitando risorse che non vadano unicamente allo sviluppo agricolo”, ha aggiunto Tajani, ricordando le missioni già effettuate in Africa (Tunisia, Libia, Egitto) e l’intenzione di collaborare maggiormente con alcuni Paesi sub-sahariani come l’Angola, il cui presidente Joao Lourenco è in visita oggi e domani a Roma. Tajani ha quindi ricordato che in autunno si terrà a Roma la conferenza Italia-Africa, “dove ribadiremo le nostre intenzioni positive nei confronti del continente, puntiamo sulla diplomazia della crescita e su una presenza sempre più consistente di imprese italiane esportando il nostro saper fare, con accordi in modalità ‘win-win’ e non predatoria”, ha aggiunto. Tajani ha poi fatto riferimento alla Conferenza mondiale sulla sicurezza alimentare di metà luglio, in occasione della quale l’Italia ribadisce la sua volontà di lavorare con Paesi africani, non solo del Mediterraneo.
I lavori della conferenza sono stati inaugurati dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, il quale ha affermato che per salvare la regione del Corno d’Africa dalla devastante siccità e dalle complicazioni legate ai flussi in fuga dai conflitti è necessario finanziare con la massima urgenza i piani di risposta umanitaria programmati, che ad oggi hanno ricevuto solo il 20 per cento della quota prevista. “Le azioni faranno la differenza. Senza iniettare in modo urgente e in massa fondi per la risposta umanitaria nella regione non sarà possibile agire efficacemente”, ha detto Guterres, che ha ringraziato i governi di Italia, Regno Unito e Qatar per aver organizzato l’evento e ha sollecitato la comunità internazionale ed i donatori a contribuire al fondo regionale. L’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha da parte sua annunciato nuovi aiuti per 524 milioni di dollari per dare assistenza umanitaria al Corno d’Africa in risposta alla crisi in corso nella regione. In una nota, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) ha fatto sapere che metterà a disposizione un totale di 416 milioni di dollari, ai quali se ne aggiungeranno altri 108 da parte del dipartimento di Stato. Gli aiuti sono stati decisi alla luce della crisi innescata nella regione dalla crescente siccità, che mette a rischio circa 23 milioni di persone in Etiopia, in Kenya e in Somalia. I fondi saranno utilizzati per inviare cibo, acqua potabile, medicinali e servizi igienici.
Oltre al rinnovato interesse italiano per la regione del Corno d’Africa, e al ritrovato ruolo propositivo giocato dal governo di Giorgia Meloni nelle diverse arene internazionali tra cui, appunto, il continente africano, appare significativo il fatto che tra gli organizzatori della conferenza odierna non figurino gli Emirati Arabi Uniti, che pure hanno fortissimi interessi nella regione. Non è da escludere che la scelta sia dettata dal presunto coinvolgimento emiratino nel conflitto in atto in Sudan dove, stando a quanto dichiarato di recente ad “Agenzia Nova” dall’esperto militare libico Adel Abdel Kafi, le Forze rapide di supporto (Rsf) del generale Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo hanno ricevuto missili ed altre forniture militari dai mercenari russi di Wagner e dagli stessi con la complicità del comandante dell’Esercito nazionale libico, Khalifa Haftar, di stanza nel sud-est della Libia, da dove le armi sono transitate. Uno scenario che allarma non poco gli Stati Uniti e i suoi alleati, che temono che il gruppo Wagner – per conto del Cremlino – possa utilizzare l’Africa come “merce di scambio” nel conflitto in Ucraina.
Quanto al Corno d’Africa, dopo anni di sostanziale oblio, l’impressione è che l’Italia stia tentando di recuperare – nell’ambito del più volte annunciato “piano Mattei” per l’Africa – il terreno perduto nella regione, strategicamente importante essendo situata all’incrocio di rotte commerciali, ma anche vulnerabile alla concorrenza politica e militare. La sua posizione geografica è di importanza strategica per la sicurezza non solo dei Paesi vicini, ma anche europei. Tuttavia, la regione è minacciata da una costante insicurezza e instabilità, essendo un terreno fertile per l’estremismo e gli attacchi terroristici. L’impegno dell’Italia nel cosiddetto “Mediterraneo allargato” – in cui si può in qualche modo includere la regione del Corno d’Africa – deve affrontare la crescente concorrenza di Paesi come Cina, Russia, India e Turchia. Il nuovo “grande gioco” dell’Africa è ora tra queste potenze nel Corno d’Africa. Inoltre, le monarchie del Golfo hanno una presenza pervasiva nella regione a causa della loro vicinanza geografica e, negli ultimi anni, delle ricadute regionali della concorrenza saudita-iraniana. Da parte sua, l’Italia ha la possibilità di influenzare le relazioni con i suoi partner africani attraverso la cooperazione e il trasferimento di know-how su tecnologia, approvvigionamento energetico e infrastrutture. In tale prospettiva, il ruolo dell’Italia potrebbe risultare fondamentale anche attraverso una tradizionale azione basata sulla formazione delle forze di sicurezza e il rafforzamento delle istituzioni africane.
Mai come negli ultimi anni, del resto, la regione del Corno d’Africa è afflitta da un micidiale mix di instabilità, guerre interne e prolungati periodi di siccità e carestia che hanno innescato una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni. Per salvare vite tra le comunità colpite e finanziare i piani di risposta umanitaria per il Corno d’Africa, l’Onu stima necessari circa 7 miliardi di dollari nel 2023. Il Corno d’Africa sta infatti vivendo la sua siccità più grave e prolungata decenni, con oltre 43 milioni di persone bisognose di assistenza per il sostentamento vitale, di cui 28,6 milioni in Etiopia, 6,4 milioni in Kenya e 8,2 milioni in Somalia. Secondo quanto affermato dall’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha), le recenti forti precipitazioni di maggio non hanno migliorato la situazione, provocando inondazioni improvvise e la perdita di case e bestiame in aree già colpite dalla siccità. La fame e l’insicurezza alimentare destano particolare preoccupazione e si stima che oltre 23,5 milioni di persone siano afflitti da alti livelli di insicurezza alimentare acuta in Etiopia, Kenya e Somalia. Inoltre, circa 13,2 milioni di capi di bestiame sono morti dall’inizio della siccità (6,8 milioni in Etiopia, oltre 3,8 milioni in Somalia e 2,6 milioni in Kenya), erodendo la principale fonte di sostentamento, reddito e nutrimento per le comunità locali. L’insicurezza idrica sta inoltre causando un aumento delle malattie e della protezione rischi, aggravando ulteriormente la situazione, con casi di colera più elevati rispetto agli ultimi anni, mentre anche i casi di morbillo sono aumentati, in particolare tra i bambini. I ricorrenti shock climatici, la diffusa insicurezza alimentare e la riduzione dei mezzi di sussistenza l’accesso sono esacerbati dal conflitto persistente e dal conseguente sfollamento, contribuendo ad aumentare i bisogni umanitari della popolazione.
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