Il Programma alimentare mondiale (Pam) dovrebbe chiarire il perché non ci sia stata alcuna comunicazione alle autorità congolesi della presenza dell’ambasciatore Luca Attanasio nel convoglio preso di mira nell’imboscata avvenuta lo scorso 22 febbraio nella provincia del Nord Kivu, nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). È quanto dichiarato ad “Agenzia Nova” da Jean-Jacques Diku, rappresentante dell’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps), il partito di governo a Kinshasa.
“Dalle informazioni che mi sono giunte sembra che non ci sia stata comunicazione da parte del Pam della presenza dell’ambasciatore Attanasio. Questo è ancora da valutare ma se le autorità locali non erano state informate della presenza di un così alto funzionario italiano bisogna chiarirne i motivi, sono domande che effettivamente devono essere poste a chi ha organizzato questo convoglio”, ha detto Diku, confermando poi la versione secondo cui – anche in base alle informazioni di cui dispongono le autorità congolesi – in seguito all’imboscata ci sarebbe stato un conflitto a fuoco e che l’obiettivo degli assalitori sarebbe stato quello di rapire l’ambasciatore. “Ci sono stati dei punti un po’ oscuri all’inizio della diffusione delle informazioni, ma sembra che secondo la dinamica dei fatti ci sia stato un tentativo di rapimento andato male quando le guardie della zona hanno cercato di intervenire. Quel che è certo è che il problema della sicurezza dei convogli Onu, almeno in questo caso, si pone. Bisogna cercare di capire come mai non si siano prese tutte le misure di sicurezza necessarie per evitare questa tragedia”, ha aggiunto.
Per quanto riguarda la responsabilità dell’attacco, il rappresentante del governo congolese non si sbilancia ma conferma che tra i principali indiziati ci siano le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), le milizie hutu ruandesi che da anni sono presenti nella provincia del Nord Kivu e a cui il governo congolese ha fin da subito attribuito la responsabilità dell’agguato. “Le indagini sono ancora in corso, gli uomini del Ros sono sul posto per verificare tutte le piste possibili. Ciò che posso dire è che la zona in cui è avvenuto l’agguato è abbastanza pericolosa, con la presenza di più di 120 gruppi armati ruandesi, burundesi, ugandesi e locali che per varie ragioni cercano di avere il controllo del territorio. Tutte le piste restano aperte, la prima ipotesi venuta fuori è quella che prevede la responsabilità delle Fdlr”, ha detto. Quanto alle misure messe in atto dalle autorità di Kinshasa, Diku ha ricordato che il presidente Felix Tshisekedi ha riunito ieri il Consiglio di sicurezza del governo “per determinare in che modo i fatti sono avvenuti e di assicurare i responsabili alla giustizia, tutto è stato messo in moto anche da parte del governo congolese per cercare una soluzione anche perché si tratta di un duro colpo per noi”, dal momento che il governo congolese sta mettendo in atto tutti gli sforzi per pacificare quella regione “ma è chiaro che un colpo di questa entità mina ogni possibilità di ripresa” sotto questo punto di vista.
Elogiando il ruolo svolto dalla Cooperazione italiana, che “porta risultati concreti sul campo e lo fa senza ingerenze”, Diku ha quindi auspicato che questa vicenda non avrà ripercussioni sulle relazioni fra Italia e Congo “dal momento che il governo congolese ha dato tutta la disponibilità e il presidente Tshisekedi si è prodigato per far sì che si faccia luce su questa vicenda”. La comunità congolese – ha proseguito – si sta organizzando per esprimere il proprio cordoglio alle autorità italiane, ieri il nostro emissario ha portato il messaggio personale del presidente Tshisekedi alle autorità italiane e altri contatti dovranno esserci finché la faccenda non verrà chiarita (è notizia di oggi che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha incontrato questa mattina a Palazzo Chigi l’inviato speciale della presidenza, Patrick Luabeya, accompagnato dall’ambasciatore a Roma, Fidele Sambassi Khakessa). Ci auguriamo che la morte dell’ambasciatore Attanasio, del carabiniere Luca Iacovacci e dell’autista congolese Moustapha Milambo possa permettere all’opinione pubblica italiana e mondiale di rendersi conto di cosa succede in Congo e di trovare una soluzione. Un ambasciatore non può morire così”, ha concluso.
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