L’ambasciatore d’Italia nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio, è rimasto ucciso assieme al carabiniere Vittorio Iacovacci in un attacco armato contro un convoglio del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) nei pressi del villaggio di Kanyamahoro, nel nord-est del Paese. La morte dei due è stata confermata in una nota dalla Farnesina. Il convoglio era partito da Goma, capitale provinciale del Nord Kivu, ed era diretto a Rutshuru, circa 66 chilometri a nord, per una visita di monitoraggio a un programma di alimentazione scolastica del Pam. Il tragitto taglia il Parco nazionale dei Virunga, una delle prime aree protette in Africa, designata dall’Unesco come sito patrimonio dell’umanità sin dal 1979 ma non estranea alle violenze in corso da decenni nel Nord Kivu. Negli ultimi mesi, anzi, le guardie forestali sono diventate obiettivi specifici delle numerose milizie armate che sono attive nella provincia e che spesso all’interno del parco hanno basi e interessi.
Attacco a Luca Attanasio: cosa è accaduto
Le circostanze dell’attacco di questa mattina restano al momento tutte da chiarire: secondo quanto appreso da “Agenzia Nova”, un gruppo armato di cui non è nota l’identità avrebbe attaccato a scopo di rapimento il convoglio, del quale facevano parte almeno due mezzi del Pam. Dopo l’intervento dei ranger sarebbe scoppiato un duro scontro a fuoco, durante il quale Attanasio e Iacovacci sarebbero stati colpiti a morte, così come un autista locale. La polizia del Nord Kivu ha fatto sapere al quotidiano tedesco “Frankfurter Allgemeine Zeitung” di essere stata “sorpresa” dalla presenza nell’area dell’ambasciatore Attanasio “senza la protezione della polizia”. Tuttavia, il Programma alimentare mondiale ha precisato che il convoglio attaccato viaggiava su una strada in cui era stato autorizzato il transito senza scorta.
L’ultimo attacco nel Parco nazionale dei Virunga risaliva allo scorso gennaio, quando sei guardaparco erano rimasti uccisi nell’area di Kabuendo. Secondo gli osservatori locali, dietro la recrudescenza delle violenze potrebbero esserci i crescenti sforzi dei ranger per fermare lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del parco (in particolare carbone e pesce), importante fonte di sostentamento per numerosi gruppi armati locali. I guardaparco, peraltro, hanno incrementato di recente la propria collaborazione con l’esercito congolese, promuovendo anche operazioni congiunte e condividendo informazioni d’intelligence. La rinnovata attenzione delle autorità locali verso il Parco nazionale dei Virunga mette inoltre a rischio una delle principali fonti di guadagno delle milizie, ovvero i rapimenti di turisti: secondo le organizzazioni per i diritti umani, soltanto negli ultimi tre anni all’interno dell’area sono state sequestrate almeno 170 persone, molte delle quali donne. Una pratica che, nell’ottica dei gruppi armati, ha anche l’obiettivo di sabotare il potenziale turistico del parco.
Infine, va rilevato come i rapporti tra i dirigenti del Parco nazionale dei Virunga e le popolazioni dell’area si siano fortemente incrinati negli ultimi tempi. Gli autoctoni contestano i confini del parco, denunciano appropriazioni indebite di terreno e criticano le regole sull’uso delle risorse naturali. I gruppi armati, spesso molto vicini alle più potenti famiglie locali, sfruttano tali conflitti per garantirsi sostegno nelle aree in cui operano. Le forti tensioni hanno portato anche le autorità a erigere una barriera elettrica a protezione del Parco, misura duramente contestata dalla popolazione locale. Quello nel Nord Kivu, più in generale, è un conflitto particolarmente complesso, con la presenza di oltre 130 milizie armate e l’ingerenza di Paesi vicini quali Ruanda e Uganda. Gli Stati della Regione dei grandi laghi utilizzano storicamente le milizie per danneggiare gli interessi rivali e negli ultimi anni le tensioni si sono intensificate.
Adf, il gruppo armato islamista
Le Forze alleate democratiche (Adf) sono senza dubbio una delle milizie più pericolose e attive nella provincia. Si tratta di un gruppo armato islamista ugandese che da oltre 30 anni ha la sua base nella Repubblica democratica del Congo, dove conduce frequenti attacchi contro civili che secondo le Nazioni Unite possono configurare crimini di guerra. Diverse azioni attribuite alle Adf sono state rivendicate negli ultimi anni dallo Stato islamico, sebbene molti analisti restino scettici su una possibile collaborazione tra le due sigle. Dall’inizio del 2019, secondo le Nazioni Unite le Adf hanno ucciso più di mille civili. In risposta a questa ondata di violenza, alla fine del 2019 le forze armate congolesi hanno avviato un’operazione su vasta scala contro il gruppo islamista nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri, più a nord.