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Coldiretti: con i nuovi colori delle regioni chiusi due ristoranti su tre in Italia

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Ultimi momenti di relax al tavolo o al bancone in bar, ristoranti, pizzerie e agriturismi prima del blocco anti Covid che coinvolge oltre due locali su 3 (66 per cento) lungo la Penisola che si colora in zona rossa o arancione, mentre sono 12 mila i servizi della ristorazione che possono addirittura rimanere aperti la sera in Sardegna in zona bianca. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti in occasione della nuova mappa dei colori che scatta da lunedì, dove restano gialle solo la Valle d’Aosta, la Liguria, il Lazio, la Calabria, la Puglia e la Sicilia. Si tratta della dimostrazione evidente del peggioramento della situazione per l’avanzare dei contagi con effetti sulle libertà individuali, sulla vita sociale, ma anche sulla sostenibilità economica delle attività produttive ad un anno dall’inizio della pandemia. La possibilità di apertura serale a cena – sottolinea l’organizzazione agricola in una nota – vale l’80 per cento del fatturato di ristoranti, pizzerie ed agriturismi duramente provati dalla chiusure forzate, ma nelle Regioni gialle è consentita la sera solo la consegna a domicilio o l’asporto, che riduce la sostenibilità economica per giustificare le aperture, tanto che in molti preferiscono mantenere le serrande abbassate aumentando le perdite economiche ed occupazionali. Ancora più grave – continua la Coldiretti – la situazione nelle zone rosse ed arancioni, dove è sempre proibito il servizio al tavolo e al bancone con un ulteriore colpo a bar, ristoranti e agriturismi che travolge a valanga interi comparti dell’agroalimentare made in Italy, con vino e cibi invenduti per un valore stimato dalla Coldiretti in 11,5 miliardi, dopo un anno di aperture a singhiozzo che hanno messo in ginocchio l’intera filiera dei consumo fuori casa che vale un terzo della spesa alimentare degli italiani fuori casa.


Coldiretti: effetto chiusura ristoranti su filiera produttiva

La drastica riduzione dell’attività – sostiene la Coldiretti – pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione – si legge nella nota – rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato, ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma, dal vino ai salumi, dai formaggi. Si stima che 300 milioni di chili di carne bovina, 250 milioni di chili di pesce e frutti di mare e circa 200 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali costretti ad un logorante stop and go, senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili. Numeri dietro i quali – precisa la Coldiretti – ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori. Nell’attività di ristorazione sono coinvolti circa 360 mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi nella Penisola, ma le difficoltà si trasferiscono a cascata sulle 70 mila industrie alimentari e 740 mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro. Si tratta di difendere – conclude la nota – la prima ricchezza del Paese con la filiera agroalimentare nazionale che vale 538 miliardi, pari al 25 per cento del Pil (Prodotto interno lordo) nazionale, ma è anche una realtà da primato per qualità, sicurezza e varietà a livello internazionale.

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