Un cacciatorpediniere lanciamissili della Marina militare degli Stati Uniti ha incrociato nelle acque dello Stretto di Taiwan ieri, 22 giugno. Lo ha annunciato la Settima flotta della Marina militare Usa, precisando che la nave protagonista dell’azione è stata il cacciatorpediniere classe Arleigh Burke USS Curtis Wilbur. Quello di ieri è il sesto pattugliamento dello Stretto da parte di una nave da guerra Usa dall’insediamento del presidente Joe Biden alla Casa Bianca, lo scorso gennaio. In una nota, la Settima flotta descrive l’attraversamento dello stretto come “un passaggio di routine” effettuato “in accordo con i dettami del diritto internazionale”, ed ha ribadito che le attività della Marina Usa nella regione “dimostrano l’impegno degli Stati Uniti per un Indo-Pacifico libero e aperto”. Il ministero della Difesa di Taiwan ha confermato il passaggio del cacciatorpediniere, ed ha riferito d’aver monitorato le acque e lo spazio circostanti tramite asset di intelligence, sorveglianza e ricognizione, senza rilevare attività irregolari.
Taiwan è una democrazia leader e un partner economico fondamentale per gli Stati Uniti, che si impegneranno ad espandere i legami con l’isola. Lo ha dichiarato il 21 giugno il portavoce del dipartimento di Stato Usa, Ned Price, in un comunicato nel quale viene ribadito il sostegno di Washington a Taipei, dopo che alcuni diplomatici taiwanesi sono stati costretti a lasciare Hong Kong per il loro rifiuto di firmare un documento che affermava il principio “una Cina” di Pechino. “Le nuove linee guida del dipartimento per gli scambi con Taiwan sono già state definite e forniscono chiarezza in termini di come attuare la nostra politica con Pechino”, ha aggiunto Price. “Dal momento che la Repubblica popolare continua a intimidire Taiwan, Washington affiancherà l’isola di fronte a tali minacce e così anche il popolo di Hong Kong di fronte agli sforzi di Pechino contro la libertà di espressione”, ha incalzato il portavoce statunitense.
Le osservazioni giungono in reazione alla decisione di sette diplomatici taiwanesi di tornare domenica scorsa in patria dopo essersi visti rifiutare l’estensione del permesso di soggiorno in ragione del loro rifiuto un documento che riconosce il principio di “una sola Cina”. Chiu Tai-san, ministro del Consiglio per gli affari della terraferma di Taiwan, ha dichiarato nei giorni scorsi che l’Isola intende mantenere la propria presenza ad Hong Kong, adottando però “alcuni aggiustamenti”. Nonostante le controversie, i servizi emessi dall’ufficio taiwanese – come l’emissione di visti, l’accettazione di richieste di visto da parte dei cittadini di Hong Kong, la promozione del commercio, della cultura, del turismo, e la conduzione di programmi di scambio studentesco – dovrebbero proseguire regolarmente.
Chiu ha condannato l’imposizione del documento su “una sola Cina” ai funzionari taiwanesi, affermando che l’accordo del 2011 che regola le relazioni tra l‘Isola e la Cina continentale non prevede nulla di simile. L’accordo ha portato all’apertura di piattaforme informali per il rafforzamento della cooperazione e le interazioni positive tra le due sponde dello Stretto di Taiwan. La Cina considera Taiwan parte del proprio territorio e negli ultimi anni ha aumentato la propria pressione politica e militare sull’isola. Il vice segretario generale del Partito democratico progressista (Dpp, al potere a Taiwan), Lin Fei-fan, ha tuttavia chiarito che Taipei “non accetterà mai il principio ‘una sola Cina’, né ‘un Paese, due sistemi'”, il formato che attualmente regola la gestione di Hong Kong sotto la sovranità cinese e che Pechino spera di poter applicare anche a Taiwan.
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