Il bel tempo e la crisi politica in Libia hanno provocato un aumento dei flussi migratori irregolari verso l’Italia in questo primo scorcio di 2021. Almeno 1.487 migranti e richiedenti asilo sono stati riportati in Libia dalla Guardia costiera libica in appena nove giorni, dal 2 all’8 febbraio, secondo i dati elaborati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Dall’inizio dell’anno, sono in tutto 1.956 le persone riportate a terra dopo aver tentato la traversata lungo la rotta del Mediterraneo centrale: si tratta in particolare di 1.631 uomini, 185 donne e 124 minori (per 16 individui non sono disponibili statistiche). Questi dati superano ampiamente la media annuale del 2020, quando 11.891 persone erano state riportate in Libia dai guardiacoste del Paese nordafricano. Quanto agli arrivi in Italia, il cruscotto statistico giornaliero del Viminale segnala un marcato aumento (+25 per cento) degli sbarchi nel 2021: in tutto circa 2.205 al 9 febbraio, rispetto ai 1.751 dello stesso periodo del 2020.
Complice l’alta pressione nel Mediterraneo, la metà dei nuovi sbarchi in Italia nel 2021 è avvenuta in appena sette giorni, da mercoledì 3 febbraio ad oggi: 1.166 arrivi contro zero sbarchi dello stesso periodo del 2020. “Sicuramente questo numero di partenze rappresenta un campanello di allarme umanitario”, afferma ad “Agenzia Nova” il portavoce di Oim a Roma, Flavio Di Giacomo. “Alla luce di quanto possiamo osservare, nonostante le condizioni del mare la voglia di scappare dalla Libia resta più forte di tutto”, aggiunge il portavoce. Secondo la giornalista indipendente ed esperta di Libia Nancy Porsia, “il fattore meteorologico resta determinante, ma il dato di incremento registrato va contestualizzato anche nella campagna elettorale in corso in Libia”. All’indomani dell’annuncio lo scorso autunno delle elezioni presidenziali previste per il prossimo 24 dicembre, “il ministro dell’Interno Fathi Bashagha ha avviato una campagna di arresti contro noti trafficanti anche allo scopo di accreditarsi come il candidato migliore alla presidenza”, aggiunge la giornalista freelance. “Lobby rivali di cui fanno parte alcuni dei noti signori della guerra in Libia e trafficanti, in risposta hanno formato una nuova coalizione. L’aumento delle partenze si potrebbe imputare anche quindi ad una faida per il potere che mira a screditare Bashagha”, spiega ancora giornalista.
L’arresto di “Bija”
Non è un caso, forse, che uno dei principali punti di partenza, la città di Zawiya, sia apertamente ostile al ministro dell’Interno uscente, originario invece della città “rivale” di Misurata. E’ in questo contesto che va letto l’arresto, avvenuto lo scorso ottobre di “Bija“, ufficiale della Guardia costiera libica accusato di traffico di esseri umani e contrabbando di carburante. Abd al Rahman Milad, questo il vero nome di “Bija”, non è un criminale qualunque, ma un uomo molto influente a Zawiya. Questa città costiera è importante nei delicati equilibri della Tripolitania non solo perché tra i punti principali delle partenze dei migranti e snodo cruciale delle esportazioni di prodotti petroliferi: le milizie di Zawiya hanno infatti giocato un ruolo di primissimo piano nella difesa della capitale Tripoli dal golpe tentato (e poi fallito) dal generale Khalifa Haftar nell’aprile del 2019. Lo stesso “Bija” è apparso al fronte all’interno delle milizie del Gna insieme ai combattenti siriani portati dalla Turchia. “In ultima battuta, ma non per importanza, vanno considerati altri due fattori: il miglioramento delle condizioni di sicurezza sul terreno in seguito alla fine dell’offensiva delle forze del generale Khalifa Haftar in Tripolitania e l’allentamento delle misure anti-Covi19. Entrambi questi due fattori hanno portato ad una riduzione di check point sul terreno e quindi alla riapertura delle rotte utilizzate dai migranti e dai trafficanti”, conclude Porsia.
La transizione in Libia
Va ricordato, inoltre, che l’aumento dei flussi migratori coincide con una delicatissima fase di transizione del potere in Libia. Il Forum del dialogo libico (Lpdf), l’organismo di 75 membri (anzi 74, dopo il decesso per Covid di un anziano capo tribù), ha eletto venerdì scorso, 5 febbraio, la lista dell’imprenditore Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, membro di un’influente e ricca famiglia di Misurata, e dell’ambasciatore Mohammed al Manfi, membro della tribù della Cirenaica dell’eroe libico Omar Mukhtar, ex funzionario gheddafiano oggi considerato come una personalità vicina all’Islam politico, per la nuova autorità esecutiva incaricata di traghettare il Paese alle elezioni di dicembre. Tutti gli osservatori erano convinti della vittoria della lista guidata da Aguila Saleh (presidente del Parlamento di Tobruk) e da Bashagha. E invece la decisione di alcuni importanti politici dell’ovest come Ahmed Maiteeq, Salah al din al Namrush e Khalid al Mishri di ritirarsi e l’ostilità nascosta di Khalifa Haftar per Saleh in Cirenaica hanno permesso di ribaltare il risultato della prima votazione, dando la vittoria alla lista sfavorita. Le tempistiche per la transizione del potere sono strette e non dovrebbero, in teoria, superare i 42 giorni.
Il premier designato Dbeibeh ha 21 giorni di tempo dal 5 febbraio per formare la sua squadra di governo: dunque entro il 26 febbraio dovrà consegnare la lista dei ministri alla Camera dei rappresentanti di Tobruk, che dovrà pronunciarsi entro altri 21 giorni, quindi entro il 19 marzo, attraverso un voto di fiducia. E’ utile ricordare che senza la convalida della fiducia, tanto il governo di Tripoli quanto quello di Tobruk (quest’ultimo non riconosciuto dalla Comunità internazionale) rimarrebbero in carica. In mezzo alle date sopracitate c’è un’altra scadenza rilevante: il 21 febbraio, infatti, saranno passati quattro anni dall’adozione della bozza di Costituzione che dovrebbe essere sottoposta a referendum. Nel caso in cui dovesse essere convocato il quesito referendario, è praticamente certo che le elezioni parlamentari e presidenziali previste il 24 dicembre di quest’anno, nel giorno del 70esimo anniversario della Libia, vengano rimandate per l’ennesima volta.
Dietro alle dichiarazioni apparentemente a favore della nuova autorità esecutiva transitoria – giunte sia dal Comando generale dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar, sia dalle autorità di Tripoli comunque poco rappresentante – si celano in realtà posizioni diverse. Il neo nominato presidente Mohammed al Manfi proviene dalla Cirenaica, ma ha pur sempre servito come ambasciatore sotto il governo Sarraj: egli non è ben visto a Bengasi, dove avrebbero preferito la vittoria di altre liste. Tuttavia, la prospettiva di un governo e, soprattutto, di un bilancio unificato è comunque una ghiotta occasione per la Cirenaica di finanziare parte del debito contratto con la guerra (fallita) contro la Tripolitania dell’aprile 2019-giugno 2020. Tanto più se questo governo dovesse rimanere in carica solo pochi mesi. Molto dipenderà da come si muoverà Dbeibeh: se non commetterà troppi passi falsi, è probabile che l’argomento finanziario abbia la meglio sulle differenze politiche e ideologiche.