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Argentina: Cristina Kirchner sfugge a un attentato, l’ex presidente di nuovo sotto i riflettori

Cristina - due mandati da "presidenta" dopo quello del marito Nestor - continua ad essere centrale nel panorama politico nazionale, interprete della linea più radicale all'interno del governo di Alberto Fernandez, il capo dello Stato con cui si è scontrata non poche volte

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Il gesto compiuto nella serata di giovedì da un trentacinquenne appassionato di esoterismo, un fallito tentativo di omicidio, riporta la figura della vice presidente Cristina Kirchner al centro dell’attenzione anche fuori dai confini dell’Argentina. Cristina – due mandati da “presidenta” dopo quello del marito Nestor -, continua ad essere centrale nel panorama politico nazionale, interprete della linea più radicale all’interno del governo di Alberto Fernandez, il capo dello Stato con cui si è scontrata non poche volte. Le cronache degli ultimi giorni sono però centrate sulla richiesta di dodici anni di carcere chiesti dal procuratore Diego Luciani per essere stata, negli anni della presidenza, la regista della “maggior manovra di corruzione del Paese”. Una pena che potrebbe essere completata dall’interdizione ai pubblici uffici, tagliandola fuori da una più che probabile nuova corsa alla presidenza: con la sinistra peronista in disarmo e i conservatori delusi dall’esperienza dell’imprenditore Mauricio Macri, Cristina pare ancora poter mobilitare elettorato e seguaci, ma anche grandi divisioni.


Non si tratta certo del primo caso giudiziario di cui Cristina Kirchner è protagonista. A gennaio del 2015 il procuratore Alberto Nisman denunciava Cristina accusandola, assieme all’allora ministro degli Esteri Hector Timerman e altri due deputati, di aver cercato di coprire le responsabilità di cittadini iraniani nell’attentato alla sede di Buenos Aires dell’Amia (Associazione mutualità israelita argentina). L’attacco, sferrato con un’autobomba nel luglio del 1994, causò 85 morti e oltre 300 feriti. Un’azione che seguiva di soli due anni il sanguinoso attentato all’Ambasciata di Israele a Buenos Aires (22 morti) e per la quale, nel 2006, la giustizia argentina chiese l’arresto di otto funzionari iraniani (mai estradati) e un libanese, accusando Hezbollah di aver agito su ordine di Teheran.

Nel 2013 Cristina rende nota la firma di un memorandum con l’Iran che avrebbe permesso di interrogare i sospetti in patria. L’accordo non è mai entrato in vigore – non approvato da Teheran, non approvato dalla Corte costituzionale argentina -, ma il procuratore Nisman aveva aperto il fascicolo per scoprire se il vero obiettivo dell’intesa era proprio coprire le responsabilità degli iraniani in cambio di buoni affari sull’energia. Il caso del memorandum si è chiuso con un non luogo a procedere ma ebbe un pesante risvolto di cronaca: il giorno prima di presentarsi in Parlamento per illustrare i termini della sua accusa alla “presidenta”, Nisman viene trovato morto nella sua abitazione, con un proiettile di pistola in testa. Un episodio che ha suscitato molti dubbi sul ruolo di Cristina nella vicenda.

In America Latina, l’Argentina dei Kirchner è stata protagonista della stagione dei governi “neo socialisti”, assieme al Brasile di Luiz Inacio ‘Lula’ da Silva, la Bolivia di Evo Morales e il Venezuela di Hugo Chavez. Una famiglia politica che per una decina d’anni ha costruito alleanze distanti dal tradizionale alleato statunitense. Buenos Aires è stata in questo senso una delle capitali che più ha aperto alla cooperazione commerciale con la Cina, un legame che ha portato da poco a fare entrare l’Argentina nell’ambizioso progetto infrastrutturale della Nuova via della seta (Bri). Un’operazione la cui regia è stata assunta proprio da Cristina, che sin da inizio mandato, ricordano i media locali, ha voluto intestarsi il dossier Pechino. Poco dopo essersi insediata alla vicepresidenza, Cristina ha ricevuto gli ambasciatori di Cina e Russia. E da ultimo hanno fatto rumore la sua definizione del sistema produttivo cinese come quello “capitalistico di maggior successo. Non ce ne sono altri che hanno coinvolto la quantità di uomini e donne in un processo di produzione come quello che ha portato avanti la Cina”.

La traiettoria di Cristina si è peraltro intrecciata anche con vicende della Vecchia Europa. L’ex “presidenta” ha da tempo un rapporto intimo con Baltasar Garzon, l’ex magistrato della procura nazionale della Spagna, protagonista di innumerevoli battaglie giuridiche, non di rado orientate a favore di telecamera. Un incarico che avrebbe abbandonato nel 2016, al termine della presidenza Kirchner. Salvo una parentesi da politico “indipendente” nelle liste del Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), il giurista ha aperto fascicoli su fascicoli, fino al 2012, anno in cui è stato espulso dalla magistratura spagnola per un caso di intercettazioni illegali. Nel momento di massima popolarità tornò a sollevare il caso “Gal”, operazioni extralegali dello Stato nei confronti dei terroristi dell’Eta. Un dossier che rimontava direttamente ai primi anni dei governi di Felipe Gonzales, di cui Garzon era stato parte fino a poco prima. “C’è un chiaro tentativo di distruzione del governo”, denunciava Gonzalez nel 1995, poco prima di lasciare per sempre la presidenza del governo. Il magistrato – che tra le altre cose sarebbe poi stato protagonista dell’arresto di Augusto Pinochet, o della difesa di Julian Assange – è stato in questo senso parte di quella stagione politica in cui le azioni della magistratura hanno condizionato la tenuta di governi anche in Italia, in Germania o Francia.

In politica interna, anche nei momenti di peggiori turbolenze finanziarie e con il calo nei prezzi delle materie prime da esportazione, Cristina Kirchner ha promosso programmi sociali e mantenuto sussidi corposi ai trasporti e all’energia, finendo per aprire situazioni di forte deficit nei conti pubblici. E la politica di espansione monetaria applicata con decisione è stata per molti la leva dell’inflazione cha da allora corre a livelli ben più alti della media regionale. Il suo governo ha chiuso all’esportazione degli utili di impresa nel vano tentativo di rafforzare la moneta. E per sostenere il valore del peso sul dollaro, il suo governo ha dapprima speso gran parte delle sue riserve, quindi varato una serie di restrizioni all’acquisto della divisa straniera, mai realmente risolutive. Nota anche la sua opposizione ai trattati di libero commercio, la guerra aperta con il Fondo monetario internazionale (Fmi), organismo ritenuto troppo sensibile agli interessi della Casa Bianca, un contenzioso che portò Buenos Aires fuori dai radar degli osservatori economici mondiali.

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