Il governo dell’Argentina ha raggiunto un accordo con il Club di Parigi per la concessione di una moratoria fino a settembre del 2024 del pagamento di un debito di 2,4 miliardi di dollari. E’ quanto risulta dal decreto 286/2022 pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale, dove viene sancito il rinvio dei pagamenti dei debiti contratti a maggio del 2014. La moratoria viene concessa nel contesto dell’accordo raggiunto a marzo dall’Argentina anche con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per rifinanziare debiti per 45.000 milioni di dollari. “E’ opportuno prorogare il termine previsto (…) sottoponendolo ai risultati dell’Extended Facilities Program con l’Fmi”, si legge nel decreto, che autorizza ad ogni modo il ministero dell’Economia a “effettuare pagamenti parziali dei servizi del debito” ai membri del gruppo parigino.
A giugno del 2021, di fronte al pericolo di un’imminente cessazione dei pagamenti con il Club di Parigi, l’Argentina aveva concordato un “ponte temporaneo” fino al 31 marzo 2022 per permettere il raggiungimento di un accordo con l’Fmi prima di tale data. Fino a quel termine, l’Argentina ha dovuto saldare debiti con il Club per 430 milioni di dollari -su un totale di 2.400 milioni di dollari. Il governo argentino giustifica questo moratoria con la “necessità di garantire la sostenibilità del debito pubblico argentino”, nonché con la compatibilità con la ripresa dell’economia e il miglioramento degli indicatori sociali di base.
L’accordo, ratificato dal Fmi il 25 marzo, si basa sullo schema Extended Fund Facility (Eff), che prevede dieci revisioni periodiche su base trimestrale durante i prossimi due anni e mezzo. In cambio l’Argentina si impegna a rispettare un programma di riordino macroeconomico che avrà come obiettivo principale quello di una consistente riduzione del deficit: un percorso graduale che prevede un passivo del 2,5 per cento nel 2022, dell’1,9 per cento nel 2023, e dello 0,9 per cento nel 2024. Il Tesoro argentino si impegna quindi a rinunciare completamente al finanziamento da parte della Banca centrale, sostituendolo, entro il 2024 con fondi raccolti in peso sul mercato locale. Buenos Aires dovrà inoltre a combattere l’inflazione, oggi attestata attorno al 50 per cento, con programmi che aumentino la sostenibilità delle finanze pubbliche e specifici accordi sui prezzi.
Il governo ripete da tempo che quello trovato con l’Fmi è il miglior accordo possibile per affrontare l’oneroso debito, soprattutto se misurato sulle difficoltà in cui versano i conti pubblici, oggi aumentate dalla crisi pandemica e dai risvolti economici della guerra in Ucraina. Aprendo il dibattito in Senato il ministro dell’Economia, Martin Guzman, ha ribadito che “il governo cerca di costruire certezze in un contesto pieno di incertezze”. “La guerra tra Russia e Ucraina ha un impatto in Argentina soprattutto in relazione ai prezzi delle commodities che stanno aumentando”, ha dichiarato Guzman sottolineando che il nuovo programma con l’Fmi “consente di risolvere il problema della bilancia dei pagamenti nel 2022 e 2023” e di “evitare shock destabilizzanti”. “Non aggiungiamo un solo dollaro al debito (…) con un programma economico coerente con gli obiettivi economici e sociali a cui miriamo”, ha aggiunto, ricordando che l’accordo “non include nessuna riforma del lavoro né delle pensioni”.
Nelle sue ultime proiezioni di aprile, la Commissione economica per l’America latina e i Caraibi (Cepal) ha stimato per l’Argentina una crescita del 3 per cento nel 2022. Si tratta di un dato superiore a quello presentato a gennaio, quando si prevedeva una crescita del 2,2 per cento, ma comunque inferiore alle più recenti stime del Fondo monetario internazionale (Fmi), che nel World economic outlook (Weo) di aprile ha stimato per l’Argentina una crescita del 4 per cento nell’anno in corso. L’organizzazione con sede a Washington ha previsto inoltre per il 2022 un’inflazione del 48 per cento. Per il 2023 l’inflazione secondo l’Fmi dovrebbe scendere al 43,5 per cento. Il conto delle partite correnti è stimato invece con un attivo dello 0,5 per cento nel 2022 e dello 0,4 per cento nel 2023.
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