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Ancora una domenica di sangue in Myanmar: 38 morti nelle proteste

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E’ salito ad almeno 38 vittime il bilancio dell’ultima, sanguinosa giornata di proteste contro il golpe militare che si sono svolte a Yangon e in altre grandi città del Myanmar ieri, 14 marzo. La giunta ha imposto la legge marziale in due distretti di Yangon, Hlaing Tharyar e Shwe Pyithar, dove gli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti sono stati più intensi. Quella di ieri è stata la giornata di protesta più sanguinosa dall’inizio delle mobilitazioni contro il golpe militare dello scorso primo febbraio. A fornire il bilancio, equivalente a quello degli scontri del 3 marzo scorso, è stata l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici della Birmania. Dall’inizio delle proteste, le forze di sicurezza birmane hanno ucciso almeno 120 persone. La legge marziale proclamata a Yangon consentirà alle forze armate birmane di esercitare l’autorità amministrativa e giudiziaria diretta nei due distretti interessati.


Video apparsi sui social media nelle scorse ore mostrano i manifestanti proteggersi con scudi ed elmetti artigianali mentre si scontrano con le forze di sicurezza nel distretto di Hlaing Tharyar, nella zona occidentale della capitale. Alcuni locali sono stati dai alle fiamme. Secondo l’Associazione di assistenza dei prigionieri politici, più di 1.200 persone sono state arrestate durante le proteste avviate il mese scorso. In questo contesto, sabato 13 marzo il leader ad interim del governo civile parallelo ha dichiarato che cercherà di dare alle persone il diritto legale di difendersi. Nel frattempo, le autorità indiane segnalano l’arrivo di 116 cittadini birmani nel villaggio di Farkwan, situato nell’estremo nord-est dell’India. Lo ha confermato ai media regionali il presidente del Farwan Village Council, Ramliana, precisando che le persone – fra cui risultano anche militari birmani – hanno attraversato il fiume Tiau e raggiunto il villaggio passando da un tratto nel quale il personale paramilitare indiano preposto ai controlli di frontiera non era presente.

Se nessuna conferma è stata rilasciata per il momento dalle autorità dello Stato indiano di Mizoram, dove si trova il villaggio, o da quelle federali, il media “Outlook India” riporta il caso di diversi ufficiali militari birmani fuggiti dal loro Paese dopo aver ricevuto “l’ordine di sparare ai manifestanti” e di “picchiarli”. Dopo aver disobbedito agli ordini, un numero imprecisato di ufficiali birmani sono fuggiti in India. Rimane alta la preoccupazione per le loro famiglie, dopo che i militari birmani hanno minacciato di arrestare i familiari dei disertori. All’inizio di questo mese, il Myanmar ha chiesto all’India di estradare gli agenti di polizia che hanno attraversato il confine.

Analisti e media locali hanno collegato l’annuncio della giunta militare birmana ad una dichiarazione rilasciata poche ore fa dall’ambasciata cinese nel Myanmar, nel quale Pechino esortava le autorità birmane a prendere misure efficaci per fermare le violenze e punire gli autori delle proteste dopo che diverse fabbriche cinesi a Yangon sono state distrutte, saccheggiate o date alle fiamme, ed alcuni dipendenti cinesi sono rimasti feriti. In un comunicato pubblicato anche su Facebook, Pechino precisa che le società – principalmente di abbigliamento – prese di mira si trovano nella zona industriale di Shwe Lin Ban, nel comune di Hlaing Thar Yar, vicino Yangon. Secondo quanto riferito dal “Global Times”, le due fabbriche cinesi note come Huanqiu e Meijie sono state gravemente danneggiate in quella zona. L’ambasciata di Pechino ha contattato le aziende colpite e ha chiesto alla polizia locale di intervenire per garantire la sicurezza delle aziende e del personale. Nella nota, l’ambasciata ricorda che gli investimenti cinesi nell’industria tessile in Myanmar hanno creato quasi 400mila posti di lavoro nel Paese, e che simili episodi di violenza danneggeranno anche gli interessi del popolo birmano. Secondo quanto riferito da testimoni locali ai media, gruppi formati da circa 20-30 motociclisti armati con sbarre di ferro, asce e taniche di benzina hanno preso d’assalto le fabbriche.

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