Nuova Delhi, 03 lug 2020 15:40 - (Agenzia Nova) - Con la visita odierna nel Ladakh, per esaminare la situazione della sicurezza al confine con la Cina, il primo ministro dell’India, Narendra Modi, è entrato fisicamente in scena, proprio sulla ribalta, nella controversia in corso col potente vicino. Il premier, 69 anni, si è sottoposto a una trasferta faticosa, a 3.500 metri di altitudine, per incontrare il comando locale e parlare alle truppe. Ha reso omaggio ai 20 caduti nello scontro del 15 giugno nella Valle del Galwan con le forze cinesi, ha dichiarato che il loro “coraggio e sacrificio” hanno rafforzato la volontà di un’India autosufficiente, ha sottolineato che l’impegno per la pace non significa debolezza e ha ricordato che l’India ha sempre dato una “risposta adeguata” a chi ha tentato di conquistarla e che i nemici hanno conosciuto “il fuoco e la furia” delle forze indiane. Il leader ha assicurato che l’India oggi è più preparata, in tutte le forze armate, grazie alla modernizzazione degli armamenti e allo sviluppo infrastrutturale, rivendicando che il suo governo ha triplicato la spesa per la costruzione di infrastrutture al confine. “L’era dell’espansionismo è finita, questa è l’era dello sviluppo”, ha avvertito. La visita ha il duplice intento, secondo la stampa indiana, di rassicurare la popolazione locale e di inviare un messaggio alla Cina sulla fermezza della posizione di Nuova Delhi, sulla sua volontà di non arretrare.
Finora Modi, diversamente da altre occasioni, era rimasto lontano dalla prima linea: in un breve video pubblicato su Twitter aveva reso omaggio alle vittime, ma non aveva parlato alla nazione. Neanche nell’ultimo discorso sull’evoluzione dell’epidemia di coronavirus e delle misure di contenimento, il sesto, ha fatto accenno, deludendo le aspettative, alla tensione al confine. L’uomo forte di Nuova Delhi ha persino dovuto incassare qualche colpo dalla pur debole opposizione, in particolare dal Congresso nazionale indiano (Inc), che lo ha incalzato su presunte contraddizioni, soprattutto in merito alla penetrazione cinese nel Territorio del Ladakh. Il silenzio degli ultimi giorni potrebbe anche significare che il governo ha scelto la strada della ponderazione e non della reazione istintiva. La visita a sorpresa di oggi, come riferisce la stampa indiana, può essere stata concordata solo ieri sera col consigliere per la Sicurezza nazionale, Ajit Doval, ma si inserisce in un quadro di iniziative politiche.
La più rilevante è il blocco di 59 applicazioni internet e di telefonia mobile deciso il 29 giugno dal governo “poiché alla luce delle informazioni disponibili sono coinvolte in attività che pregiudicano la sovranità e l’integrità dell’India, la difesa dell’India, la sicurezza dello Stato e l’ordine pubblico”. “La raccolta di questi dati, la sua estrazione e profilazione da elementi ostili alla sicurezza nazionale e alla difesa dell’India, che alla fine incide sulla sovranità e integrità dell’India, è una questione di profonda e immediata preoccupazione che richiede misure di emergenza”, ha spiegato il ministero della Tecnologia dell’informazione. Non è stato fatto alcun riferimento alla tensione con la Cina e alla proprietà cinese della maggior parte delle applicazioni bloccate, tra le quali alcune molto popolari, come TikTok, Uc Browser, WeChat, Weibo, Baidu Map e Xender. Prevedibilmente l’ambasciata della Cina a Nuova Delhi ha replicato che la misura, “mirata in modo selettivo e discriminatorio a determinate app cinesi per motivi ambigui e inverosimili, si scontra con requisiti di procedura equi e trasparenti, abusa di eccezioni di sicurezza nazionale ed è sospetta di violazione delle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio”.
Quella economica potrebbe essere la “risposta adeguata” che Modi ha assicurato da parte indiana. E il blocco delle app potrebbe essere solo l’inizio. Il ministro dei Trasporti e delle micro, piccole e medie imprese, Nitin Gadkari, ha annunciato che alle compagnie cinesi non sarà consentito di partecipare a futuri progetti autostradali e che saranno escluse le società indiane che costituiscono joint venture con partner cinesi. La limitazione, come ha ammesso lo stesso ministro, è ancora da definire dal punto di vista legale e non si applicherà ai contratti in essere, per evitare contenziosi. Tuttavia, sembra che Nuova Delhi voglia andare al di là degli episodici congelamenti di investimenti o rotture di accordi o ritardi negli sdoganamenti di merci cinesi cui si è avuta notizia nei giorni scorsi.
Nel frattempo, l’India continua ad armarsi. È stato appena firmato un accordo con la Russia per l’acquisto di 33 caccia e per l’ammodernamento di altri 59, un affare da 2,4 miliardi di dollari complessivi, e il ministero della Difesa indiano ha ammesso un’accelerazione nei programmi di armamento dovuta alla necessità di rafforzare la capacità di proteggere i confini e alla strategia del governo, che ha lanciato la Missione per un’India autosufficiente. Nuova Delhi è anche in attesa della consegna della prima partita di 35 caccia Rafale ordinati dalla Francia nel 2016 per un totale di 8,78 miliardi di dollari. I primi sei velivoli dovrebbero arrivare alla fine del mese. L’India è stato il terzo paese del mondo per spesa in acquisti per la difesa l’anno scorso, con 71,1 miliardi di dollari, secondo l’ultimo rapporto del Sipri, lo Stockholm International Peace Research Institute, ma ha davanti proprio la Cina, con 261 miliardi (e gli Stati Uniti con 732). Per la prima volta i due paesi asiatici si sono posizionati fra i primi tre, precedendo la Russia e l’Arabia Saudita. La quota dell’India nella spesa globale è del 3,7 per cento, contro il 14 per cento della Cina, e il 38 per cento degli Stati Uniti.
La risposta economica non è indolore per l’India, che è un’economia meno forte di quella cinese, anche in prospettiva, con previsioni di contrazione nel dopo coronavirus. Per il bando alle app, ad esempio, è prevedibile un impatto negativo per le società tecnologiche indiane che forniscono servizi alle multinazionali globali in Cina e che hanno investito nel mercato cinese. Tra l’altro, le società tecnologiche indiane puntavano proprio sul mercato cinese per diversificare le loro esportazioni, attualmente indirizzate per il 70 per cento verso gli Stati Uniti e il Regno Unito, e l’associazione di categoria National Association of Software and Service Companies (Nasscom) aveva lanciato un progetto di collaborazione sino-indiana. Dietro molte start-up indiane c’è la finanza cinese, direttamente o indirettamente. D’altra parte, la Cina contava sull’enorme mercato indiano, tra i pochi in cui le app cinesi erano alla pari se non davanti a quelle statunitensi. Solo ByteDance, la compagnia che ha sviluppato il social network per i video TikTok e che potrebbe essere la più colpita dal blocco delle app, contava su 200 milioni di utenti.
Più che imporre un costo economico alla Cina, l’iniziativa potrebbe costituire una pressione politica, ottenendo consenso anche su scala internazionale. Dalla linea effettiva di controllo (Lac), la zona di confine che le parti si contendono metro per metro da decenni, lo scontro si sposta e si allarga ai flussi di dati e alla tecnologia digitale, la nuova valuta del potere globale. Come era prevedibile, gli Stati Uniti, alleati sempre più stretti dell’India, hanno accolto con favore la decisione indiana: secondo il segretario di Stato Mike Pompeo, la mossa “rafforzerà l’integrità e la sicurezza nazionale” del paese. Nuova Delhi potrebbe rafforzare anche le relazioni con altri alleati, alcuni dei quali sono già preoccupati per l’espansione delle tecnologie cinesi, anche 5G, e per gli investimenti cinesi, preoccupazione che è cresciuta dopo la pandemia diffusasi da Wuhan. (Inn)
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