COREA DEL SUD

 
 

Corea del Sud: opposizione boicotta prima sessione del nuovo parlamento

Seul, 05 giu 2020 07:28 - (Agenzia Nova) - Il parlamento neoeletto della Corea del Sud ha tenuto la sua sessione plenaria inaugurale oggi, 5 giugno, ma il principale partito di opposizione ha deciso di abbandonare l’aula e disertare le votazioni, in polemica con l’organizzazione delle commissioni parlamentari stabilita dal Partito democratico (Pd) del presidente Moon Jae-in. La prima sessione plenaria della 21ma Assemblea nazionale è stata inaugurata dopo che il Pd ha presentato una richiesta unilaterale in tal senso all’inizio di questa settimana. I parlamentari del Partito unito per il futuro (Ufp), coalizione delle principali forze conservatrici del paese, hanno presenziato all’apertura della sessione, ma hanno poi lasciato l’aula in segno di protesta.

Il Partito democratico (Dp) della Corea del Sud, guidato dal presidente in carica Moon Jae-in, ha ottenuto una netta vittoria alle elezioni parlamentari, che si sono tenute in quel paese il 15 aprile scorso. Il principale partito della maggioranza di governo socialdemocratica, che prima del voto deteneva 120 seggi parlamentari su 300, se ne è aggiudicati 180, pari ai tre quinti del totale; il Partito unito per il futuro (Ufp) si è aggiudicato invece soltanto 103 seggi. L’affluenza alle urne, a dispetto della pandemia di coronavirus, è stata del 66,2 per cento, la più alta registrata in Corea del Sud da 28 anni a questa parte. I nuovi equilibri parlamentari consentiranno al Dp di Moon di accelerare autonomamente l’approvazione dei disegni di legge; faranno eccezione le sole proposte di revisione costituzionale, che richiedono per l’approvazione una maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale, pari a 200 voti.

Il responso delle urne consentirà a Moon di provare a rilanciare la propria politica di dialogo con la Corea del Nord e affrontare da una posizione più solida il braccio di ferro con gli Stati Uniti in merito alla condivisione dei costi di stazionamento delle forze Usa nella Penisola coreana. Soprattutto, Moon potrebbe finalmente ambire a concretizzare gli ambiziosi piani di riforma economica tesi a ridurre il peso e l’influenza dei grandi conglomerati a conduzione familiare, noti come “chaebol”. In virtù delle loro dimensioni, tali colossi industriali hanno limitato la flessibilità dell’economia nazionale e influenzato, anche in modo illecito, gli indirizzi politici del paese: ne ha dato prova lo scandalo che nel 2017 ha portato alla destituzione del predecessore di Moon, la conservatrice Park Geun-hye, e che ha coinvolto i vertici di diversi chaebol.

Per quanto riguarda la politica estera, il presidente Moon è promotore di un delicato equilibrio tra Cina e Stati Uniti, da cui dipende l’economia fortemente orientata all’export della Corea del Sud. L’accresciuta presenza militare Usa sul territorio sudcoreano a cavallo tra il 2017 e il 2018, nel pieno delle tensioni seguite agli ultimi test balistici intercontinentali della Corea del Nord, ha comportato una crisi diplomatica tra Seul e Pechino, che il presidente ha faticosamente ricomposto negli ultimi anni, di pari passo con gli sforzi tesi rilanciare il dialogo inter-coreano. L’opposizione conservatrice sudcoreana rimprovera però a Moon una posizione a tratti ambigua rispetto alla storica alleanza militare con gli Usa. Il presidente ha dovuto rinunciare all’ambizione di inaugurare una storica stagione di riconciliazione tra le Coree tramite la cooperazione allo sviluppo economico, resa impossibile dalla politica di massima pressione sanzionatoria applicata dagli Usa nei confronti di Pyongyang. Le relazioni tra Seul e Washington scontano anche ulteriori fattori attrito: anzitutto, la decisione di Moon di riaprire le dispute storiche con il Giappone, ai danni della cooperazione trilaterale nel campo della sicurezza e della difesa. In secondo luogo, i negoziati cari al presidente Usa, Donald Trump, per aumentare significativamente il contributo economico di Seul ai costi di stazionamento delle forze statunitensi in territorio sudcoreano. Lo scorso anno i due paesi hanno raggiunto un accordo temporaneo che ha aumentato il contributo sudcoreano a circa un miliardo di dollari; la Casa Bianca insiste però che tale contributo sia quadruplicato a quattro miliardi di dollari annui, e per intensificare le pressioni in tal senso ha posto in congedo non retribuito migliaia di dipendenti civili sudcoreani delle basi Usa.

Sul fronte economico, Moon ambisce ad indirizzare la Corea del Sud verso un modello “antropocentrico”, dove i frutti della crescita vengano “distribuiti equamente a tutti”, e dove la crescita stessa “sia trainata dal lavoro e dall’aumento dei redditi delle famiglie, che alimenta la spesa domestica”. Tale orientamento ha animato, almeno nell’impostazione ideologica, la prima fase dell’amministrazione presidenziale attualmente in carica. Sin dal suo insediamento, nel 2017, Moon si è speso per introdurre misure di riforma fiscale che incrementassero le entrate statali di 5.500 miliardi di won, da destinare all’aumento dell’impiego pubblico e all’espansione del welfare. Più volte il presidente ha esortato a “mutare il paradigma per cui il reddito della famiglie cala e le diseguaglianze economiche crescono a dispetto della crescita economica”. Moon si è scagliato in particolare contro il modello economico nazionale basato sui mega-conglomerati aziendali a guida familiare, come Samsung, Hyundai ed Lg. Tale sistema, che ha sollevato il paese dalla povertà in passato, secondo il presidente è oggi superato. Le ambizioni di Moon, però, si sono concretizzate solo parzialmente: l’amministrazione socialdemocratica ha aumentato la spesa e l’impiego pubblici, riuscendo ad erodere il tasso di disoccupazione. La riforma strutturale dell’economia, invece, è stata ostacolata dai limiti numerici della maggioranza che appoggia il governo in parlamento e che le elezioni parlamentari di oggi potrebbero però ridisegnare.

I chaebol sono consapevoli che le elezioni parlamentari di ieri potrebbero preludere ad un mutamento sistemico a suo modo storico e guardano con profonda apprensione al responso delle urne. Il Dp potrebbe affermarsi come partito di maggioranza relativa all’Assemblea nazionale sudcoreana. Dopo la vittoria elettorale, Moon ha la strada spianata per riformare la Legge commerciale, introducendo misure che limitino il potere dei grandi conglomerati. Secondo Scott Seaman, direttore per l’Asia del think tank Eurasia Group, una vitoria del Dp eviterà a Moon di diventare una ‘anatra zoppa’, e lo sosterrà nei suoi sforzi di mantenere una robusta spesa pubblica, espandere i programmi di sicurezza sociale e portare avanti, pur se lentamente, la riforma del settore aziendale. La vittoria alle elezioni parlamentari aumenta anche le probabilità che al termine del singolo mandato quinquennale concesso a Moon dalla Costituzione, gli succeda un altro capo dello Stato di orientamento progressista.

Una fonte dirigenziale anonima di uno dei chaebol, citata dalla stampa sudcoreana, ammette che i conglomerati industriali sono “preoccupati che il partito di governo possa spingere per l’attuazione di norme sulla libera concorrenza più forti e fare pressione sulle aziende perché migliorino la governance”, una volta superate le priorità contingenti legate all’emergenza sanitaria globale. I chaebol, del resto, non sposano con convinzione neanche la causa dell’opposizione parlamentare conservatrice. L’Ufp ha promesso, in caso di vittoria, di ridurre l’aliquota sul reddito delle imprese con fatturato netto superiore a 300 miliardi di won, portandola dal 25 al 20 per cento. Il partito ha anche promesso di ridurre la tassa di successione, che in Corea del Sud arriva addirittura al 50 per cento, allineandola alla media dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). L’Ufp deva fare però i conti col suo passato: uno dei partiti che l’hanno costituito è la storica formazione conservatrice Saenuri dell’ex presidente Park, condannata per traffici di influenze miliardari con le grandi aziende sudcoreane, Tale scandalo si è concluso con l’incarcerazione di Park, della sua confidente personale, Choi Soon-sil, e di diversi vertici di grandi conglomerati sudcoreani, incluso il vicepresidente di Samsung Electronics, Lee Jae-yong e il presidente di Lotte, Shin Dong-bin.

Il Partito democratico del presidente Moon ha potuto contare sull’efficacia della risposta alla pandemia di Coronavirus riconosciuta a Seul dalla comunità internazionale, in netto contrasto con l’inizio della crisi, lo scorso febbraio, quando gli apparenti tentennamenti iniziali del presidente avevano innescato una vasta raccolta di firme per sottoporlo a sfiducia. Dall’esito del voto di ieri dipenderà anche la lotta per la successione al presidente in carica: l’ex primo ministro Lee Nak-yon, esponente 67enne del Partito democratico, appare ad oggi la figura più quotata per la successione a Moon. A Lee, un ex giornalista, è riconosciuta una buona gestione degli affari di governo durante il suo mandato da premier, che ha interrotto il 14 gennaio di quest’anno proprio per prendere parte alle elezioni parlamentari, nella fondamentale circoscrizione di Jongno, a Seul. Lee ha sfidato proprio a Jongno il leader dell’Ufp, l’ex procuratore Hwang Kyo-ahn, apprezzato per la sua leadership posata, ma inviso all’elettorato buddhista per la sua fede cristiana. (Git)
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