New York, 14 apr 2020 19:01 - (Agenzia Nova) - Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, è da giorni al centro di un’offensiva mediatica internazionale con pochi precedenti. Ad attaccarlo è stato soprattutto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che di recente lo ha accusato di aver perso troppo tempo prima di dare l’allarme sulla pandemia di coronavirus. Tuttavia, già nelle settimane precedenti erano state numerose le critiche verso la gestione dell’emergenza sanitaria da parte dell’Oms. Le polemiche di questi giorni s’intrecciano con le tensioni sempre più accese tra Stati Uniti e Cina: per Trump e i suoi alleati internazionali, infatti, Tedros è a tutti gli effetti un uomo di Pechino, come dimostrerebbe la sua (eccessiva) fiducia nella capacità delle autorità cinesi di gestire la crisi nelle sue fasi iniziali. Dall’altra parte, le autorità della Cina hanno levato gli scudi a difesa del numero uno dell’Oms che, per dirla con le parole del portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Zhao Lijian, “ha svolto il suo dovere mantenendo una posizione imparziale, obiettiva e basata sulla scienza”.
Nato nel 1965 ad Asmara (che all’epoca era una città dell’Etiopia), Tedros Adhanom Ghebreyesus si è laureato in Biologia nel 1986 all'Università della città natale per poi conseguire nel 1992 la laurea specialistica in Immunologia delle malattie infettive della Scuola di igiene e delle malattie tropicali dell'Università di Londra e il dottorato di ricerca nel 2000 all'Università di Nottingham. Dal 2005 al 2012 Tedros è stato ministro della Salute, periodo durante il quale il paese si distinse soprattutto per i progressi compiuti nella lotta contro la mortalità infantile, e nel luglio 2009 è stato eletto per due anni alla presidenza del Fondo globale per la lotta all'Aids, la tubercolosi e la malaria per poi ricoprire l’incarico di ministro degli Esteri, dal 2012 al 2016, prima di essere eletto direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) il 23 maggio 2017, primo africano della storia.
Oltre ad essere un esperto in materia sanitaria e un ricercatore di fama internazionale, Tedros è anche un diplomatico riconosciuto a livello globale. Ma l’attuale numero uno dell’Oms vanta anche una militanza politica di lunga data: membro del Fronte popolare di liberazione del Tigrè (Tplf) – poi confluito nel Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), la coalizione al governo in Etiopia dal 2005 – Tedros entrò nel governo del premier Meles Zenawi, al potere dal 2005 al 2012. Fu in quegli anni che divenne dapprima consulente per la sanità pubblica, poi nel 2001 capo dell’ufficio sanitario regionale del Tigrè, poi nel 2003 viceministro della Salute e infine ministro della Salute nel 2005. Alla morte di Zenawi, nel 2012, il potere passò al suo vice, Haile Mariam Desalegn, che nominò Tedros ministro degli Esteri. Da direttore generale dell’Oms, l’ex ministro degli Esteri etiope fece parlare di sé soprattutto per la vicenda che riguardò la nomina dell’allora presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, come ambasciatore di buona volontà dell'organizzazione.
Le forti polemiche sollevate a livello internazionale costrinsero Tedros ad annullare la nomina dell’anziano capo di Stato africano (morto nel settembre scorso), tuttavia ciò non impedì alla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet” di etichettarlo con l’appellativo dispregiativo di “dittatore generale”. E non stupisce il fatto che fu lo stesso Mugabe – all’epoca presidente di turno dell’Unione africana – a spingere per far designare Tedros come candidato africano alla direzione dell’Oms. Non è un mistero, del resto, che l’attuale direttore dell’Oms rappresenti un paese, l’Etiopia, che fa parte (come lo Zimbabwe) di quel blocco di paesi africani che vantano strettissimi legami con la Cina, fattore che ha spinto di recente il presidente Donald Trump ad accusare l’organizzazione di essere “filo-cinese”. Circa metà del debito estero etiope, infatti, è detenuto dalla Cina, che circa un anno fa ha accettato di rinegoziarne i termini con il premier Abiy Ahmed, designato premio Nobel per la pace nell’ottobre scorso.
Fra gli enormi investimenti cinesi in Etiopia, spiccano la costruzione della ferrovia Addis-Gibuti, un’opera da 4 miliardi di dollari con un enorme interesse strategico (a Gibuti si trova la prima base navale militare cinese in Africa) e la compartecipazione cinese nella tanto discussa maxi-diga sul Nilo. Secondo l’agenzia “Xinhua”, sono 400 i progetti d’investimento cinesi già operativi nel paese, per oltre 4 miliardi di dollari. L’Etiopia è anche fra i partner chiave nell’iniziativa “Nuova Via della seta” (“Belt and road Initiative”), mentre Pechino intende costruire in Etiopia un nuovo centro da 80 milioni di dollari per i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie. Nel gennaio scorso, inoltre, la compagnia di bandiera statale Ethiopian Airlines – fra le poche ad aver mantenuto voli con la Cina durante l’emergenza Covid-19 – ha annunciato la costruzione di un nuovo aeroporto della capacità di 100 milioni di passeggeri che sarà finanziato dalla Cina. È notizia del mese scorso, infine, che la Fondazione Jack Ma, di proprietà del miliardario cinese co-fondatore del colosso di commercio elettronico Alibaba, ha inviato ad Addis Abeba un primo lotto di 1 milione di kit di test per il coronavirus, 5,4 milioni di mascherine facciali, 40 mila set di indumenti protettivi e 60 mila set di schermi protettivi per uso medico per aiutare i paesi africani a fronteggiare l’emergenza coronavirus. Il materiale donato è stato consegnato ad Addis Abeba per poi essere distribuito a tutti i paesi africani, con il premier Ahmed incaricato di gestire la logistica e la successiva distribuzione.
Non è un caso se negli ultimi giorni Tedros sia finito nel bersaglio di buona parte dei rivali (regionali e non) della Cina. Una delle polemiche più accese è quella con la leadership di Taiwan, che non riconosce l’autorità della Repubblica popolare sulla Cina continentale. Mercoledì 8 aprile Tedros ha denunciato di aver ricevuto “insulti razzisti” da Taipei, dai quali il ministero degli Esteri locale non si sarebbe mai dissociato. “Mi danno dei nomi, mi chiamano nero o negro. Io sono orgoglioso di esserlo”, ha affermato il direttore generale dell’Oms. Dura, dall’altra parte, la reazione del governo di Taiwan, la cui presidente Tsai Ing Wen ha categoricamente smentito l’accusa ed è tornata a contestare il boicottaggio dell’Isola da parte dell’Oms. “Per anni siamo stati esclusi dalle organizzazioni internazionali, e sappiamo meglio di chiunque altro come ci si senta ad essere discriminati e isolati”, recita una nota ufficiale firmata da Tsai. “Se il direttore generale (dell’Oms) potesse resistere alle pressioni della Cina e venire a Taiwan a verificare di persona i nostri sforzi per combattere il coronavirus, forse potrebbe constatare che è il popolo taiwanese ad essere vittima di un trattamento iniquo”.
La portavoce del ministero degli Esteri taiwanese, Joanne Ou, ha dichiarato a sua volta che le accuse di Tedros sono infondate e “immaginarie”, e che Taiwan non ha formulato alcun commento razzista, né ha incoraggiato altri a farlo. La portavoce ha definito “irresponsabili” le accuse del direttore dell’Oms, ed ha chiesto a quest’ultimo di fornire un chiarimento e scuse ufficiali a Taiwan. “Il concetto di razzismo a Taiwan non esiste. Non abbiamo un problema di razzismo”, ha affermato la portavoce. Secondo le testimonianze di medici ed esperti dei Centri per il Controllo delle malattie (Cdc) taiwanesi, raccolte tra gli altri dal quotidiano “Nikkei”, il boicottaggio di Taiwan da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità potrebbe aver contribuito a ritardare di settimane la risposta globale alla pandemia di coronavirus. Le rivelazioni sono giunte in concomitanza con le durissime critiche rivolte all’Oms da Trump, il quale ha accusato l’agenzia delle Nazioni Unite di essere “sino-centrica” e l’ha minacciata di congelare i consistenti finanziamenti stanziati in suo favore dagli Stati Uniti.
Stando alle rivelazioni della stampa taiwanese, i Cdc – agenzia incaricata della lotta alle malattie trasmissibili alle dipendenze del ministero della Salute di Taiwan – erano in stato di massima allerta sin dallo scorso dicembre a causa di quella che appariva allora come una misteriosa epidemia di polmonite virale a Wuhan. Già il 31 dicembre, l’agenzia governativa taiwanese decise di inviare un avvertimento all’Oms; quest’ultima decise però di ignorare Taipei, estromesso ormai da anni dall’agenzia Onu in ossequio all’influenza politica della Cina, che ritiene l’Isola una provincia secessionista e non ne riconosce la statualità. Quest'oggi il "Washington Post" ricorda in un editoriale come organizzazioni internazionali quali l'Oms si siano trasformate in un'arena di cruciale importanza nella quale si stabiliscono gli equilibri politici tra le superpotenze. Negli ultimi anni la Cina ha riempito parte di quel vuoto lasciato dal graduale disimpegno degli Stati Uniti. "La presidenza Trump, da sempre scettica sulle alleanze multilaterali e ostile ai consessi internazionali come le Nazioni Unite, ha accelerato questo declino". E, riflette il "Washington Post", se decidesse di tagliare i fondi all'Oms perderebbe ulteriore peso a vantaggio della Cina. Il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, dopo aver sostenuto l'elezione di Tedros nel 2017, ha anche assunto un ruolo di leadership in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. (Res)
© Agenzia Nova - Riproduzione riservata