Libia: intervento armato?
 
Le condizioni dell'Italia per la missione
 

Roma, 19 feb - (Agenzia Nova) - L’invio di un importante contingente militare italiano in Libia non è affatto escluso, ma perché la missione internazionale prenda forma, il nostro governo vuole che nel paese ci sia un governo di unità nazionale, o quanto meno un esecutivo che possa rappresentare un interlocutore credibile. Solo allora l’Italia potrebbe assumere la guida delle operazioni, schierando peraltro un apparato militare che – secondo quanto risulta ad "Agenzia Nova" – potrebbe essere il più imponente mai messo in campo dal nostro paese, dalla Seconda guerra mondiale ad oggi. Le nostre Forze armate hanno iniziato già da parecchi giorni la pianificazione militare, e sarebbero pronte a discutere con gli alleati la composizione della forza internazionale con pochi giorni di preavviso. I contatti per verificare la concreta disponibilità dei partner – europei e non – non sono tuttavia ancora iniziati, anche perché non v’è certezza sulla copertura di un’eventuale intervento.

 
La possibilità che la missione sia a guida Nato viene unanimemente esclusa, perché dopo la guerra del 2011, i libici considerano l’Alleanza parte del problema, più che della soluzione ai loro problemi. L’intervento potrebbe essere realizzato da una coalizione di volenterosi, ma il nostro governo lavora affinché la missione – se ci sarà – sia autorizzata dalle Nazioni Unite, e in questo senso è stato incoraggiato dal rappresentante russo all’Onu, l’ambasciatore Vitalij Churkin, il quale ha dichiarato che Mosca non solo favorirebbe una risoluzione Onu sulla missione, ma potrebbe anche partecipare ad “un blocco navale che impedisca la consegna di armi alle forze islamiste”.
   
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Un interlocutore credibile in Libia
 

Negli ultimi giorni le pressioni sulle varie fazioni libiche, affinché aderiscano al dialogo di pace e contribuiscano alla formazione di un governo di unità nazionale, si sono fatte fortissime. Martedì 17 febbraio i governi di Stati Uniti, Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna hanno sottoscritto una dichiarazione comune in questo senso, chiedendo “rapidi progressi nel processo politico, sulla base di una sequenza temporale precisa”. Un appello condito da una minaccia: quanti tenteranno d’impedire il processo politico “saranno ritenuti responsabili dal popolo libico e dalla comunità internazionale per le loro azioni”. Il senso d’urgenza imposto dalla presenza a Sirte delle milizie dello Stato islamico, ha tuttavia suscitato una riflessione sulla figura di Leon, che alcuni vorrebbero sostituire con una figura di maggior peso internazionale.

 
Una volta costituita un’autorità nazionale libica dotata di un minimo di credibilità, si potrebbe iniziare a formare una coalizione internazionale capace di garantire la pace, combattere le formazioni terroristiche e favorire la ricostruzione del paese. Tutti concordano sul fatto che la missione – sotto copertura Onu o meno – dovrebbe essere guidata dall’Italia. In linea puramente teorica, il nostro paese sarebbe in grado di dispiegare fino a diecimila uomini, senza ridurre significativamente l’apporto alle missioni internazionali attualmente in atto in Afghanistan, Libano, nei Balcani eccetera. Il nerbo del contingente italiano potrebbe essere costituito dalle brigate alpine Julia e Taurinense, e dalla brigata corazzata Ariete: truppe già impiegate in missioni all’estero e dunque preparate ad impieghi anche assai impegnativi.
   Carri armati della Brigata Ariete
 
Il sostegno degli Stati Uniti
 

L’intelligence italiana è certamente la più competente per quanto riguarda la Libia, e il nostro paese possiede sia droni di produzione statunitense, sia di produzione nazionale. L’aiuto degli Stati Uniti sarebbe tuttavia benvenuto, in particolare per quanto riguarda satelliti, aerei Awacs, intelligence tecnologica, ma anche elicotteri per l’evacuazione dei feriti dalle zone d’operazione. Secondo la prassi ormai consolidata, i pianificatori presentano le esigenze della missione, e ciascuno dei paesi partecipanti alla coalizione mette a disposizione gli assetti che possiede, o che ha a disposizione. Gli Stati Uniti, poi, garantiscono quel che manca. Nel caso della Libia è improbabile che gli Usa possano mettere a disposizione truppe di terra, ma offrirebbero senz’altro tutto il sostegno necessario dal punto di vista aereo, navale, infrastrutturale e d’intelligence. L’Italia ha già ricevuto assicurazioni politiche da Washington, circa il sostegno Usa alla missione. Più difficile appare delineare l’eventuale apporto di altri paesi.

   
     
Gli altri alleati    
     
La Francia ha già garantito la propria disponibilità, anche perché le Forze armate transalpine sono impegnate in Mali e nella Repubblica Centrafricana: paesi d’interesse cruciale per l’alimentazione delle 19 centrali nucleari che la Francia mantiene in attività. Il Regno Unito mantiene finora un basso profilo, e lo stesso fa la Germania, che pure negli ultimi mesi ha cercato di elevare il proprio profilo nel campo della difesa, anche partecipando a due missioni internazionali non coperte da risoluzioni Onu: quella nel Kurdistan iracheno, forte di un centinaio d’istruttori, e quella nella Repubblica Centrafricana, che vede il dispiegamento di circa 480 uomini accanto ai militari francesi.

Quanto ai paesi arabi, l’Egitto è già da tempo coinvolto direttamente nel conflitto libico, così come gli Emirati Arabi Uniti, che hanno fornito sostegno aereo alle forze laiche del generale Khalifa Haftar. Se però l’Egitto partecipasse alla coalizione internazionale, vorrebbe certamente essere coinvolta anche la Turchia, il cui presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha pessimi rapporti con il suo omologo egiziano, Abdul Fatah al Sisi. In linea di principio anche altri paesi hanno espresso disponibilità a partecipare – in un modo o nell’altro – alla coalizione dei volenterosi, ed in particolare la Tunisia, l’Algeria e il Marocco. Ma si tratta per ora di disponibilità generiche che non necessariamente potrebbero concretizzarsi con l’invio di contingenti militari. La Tunisia è alle prese con proprie milizie islamiste armate, così come l’Algeria, che peraltro ha relazioni storicamente assai tese con il Marocco. (Res) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata