Cuor d'Africa
18.03.2024 - 16:48
 
ANALISI
  
Niger: gli Usa rischiano di perdere un avamposto strategico per la lotta al terrorismo
Roma, 18 mar 16:48 - (Agenzia Nova) - Dopo la definitiva estromissione della Francia, e la rottura degli accordi di difesa con l’Unione europea, la giunta militare al potere in Niger ha annunciato la sospensione, “con effetto immediato”, della cooperazione militare con un’altra potenza occidentale che finora aveva mantenuto una presenza militare nel Paese del Sahel: gli Stati Uniti. In un messaggio trasmesso sabato sera dalla televisione nazionale “Rtn”, il colonnello Amadou Abdramane – portavoce del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), la giunta militare al potere dal colpo di Stato dello scorso 26 luglio – ha infatti annunciato l’interruzione dell’accordo relativo allo status delle forze armate Usa e del personale civile del dipartimento di Difesa Usa nel territorio nigerino, definendo la presenza militare statunitense “illegale” e in violazione di “tutte le regole costituzionali e democratiche”. Non solo: secondo Niamey è illegittimo e “ingiusto” lo stesso accordo, che sarebbe stato “imposto unilateralmente” dagli Stati Uniti, tramite una “semplice nota verbale”, il 6 luglio 2012.

Nel mirino delle autorità di Niamey, in particolare, c’è l’accusa “cinica” di aver stretto un accordo segreto per fornire uranio all’Iran e la “minaccia di ritorsioni” da parte di una delegazione statunitense guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, e comprendente anche il generale Michael Langley, comandante del Comando Usa per l’Africa (Africom), che la scorsa settimana ha effettuato una visita di tre giorni nel Paese. Le autorità di Niamey hanno contestato anche le obiezioni che gli Usa avrebbero sollevato sugli alleati scelti dal Niger, nonché il mancato rispetto del protocollo diplomatico: la giunta non sarebbe stata infatti informato della composizione della delegazione, della data di arrivo e dell’agenda della missione. L’annuncio ha colto di sorpresa Washington, che anche dopo il golpe di luglio ha mantenuto – così come l’Italia – una sua presenza militare nel Paese, sebbene ridimensionata. Per il momento l’unico commento ufficiale è quello arrivato dal portavoce del dipartimento di Stato Usa, Matthew Miller, che in un post pubblicato su X ha affermato che gli Stati Uniti sono in contatto col governo militare del Niger, il Cnsp, e “forniranno ulteriori aggiornamenti”. “Siamo a conoscenza della dichiarazione del Cnsp in Niger, che fa seguito alle franche discussioni a livello senior svoltesi questa settimana a Niamey riguardo alle nostre preoccupazioni per la traiettoria del Cnsp. Siamo in contatto con il Cnsp e forniremo ulteriori aggiornamenti come garantito”, ha scritto Miller.

L’annuncio rappresenta un duro colpo per la presenza Usa in un Paese considerato strategico per la lotta al terrorismo, anche in ottica anti-russa e anti-cinese. Il Niger è infatti da anni il centro delle operazioni statunitensi nell’Africa occidentale e settentrionale. Secondo un recente rapporto della Casa Bianca presentato al Congresso, a dicembre gli Usa aveva circa 650 effettivi presenti in Niger (erano circa 1.100 fino al riposizionamento deciso a settembre, in seguito al golpe). L’esercito statunitense gestisce inoltre un’importante base aerea (la Base 201, costruita per oltre 100 milioni di dollari) nella città nigeriana di Agadez, a circa 920 chilometri a nord-est della capitale Niamey, che dal 2018 viene stata utilizzata per prendere di mira i combattenti dello Stato islamico e Gruppo di sostegno all'Islam e ai musulmani (Jnim), affiliato ad al Qaeda, nella regione del Sahel. La base, secondo gli ultimi dati noti, ospita al momento due aerei ricognitori elettromagnetici, due elicotteri di manovra e una decina di droni MQ 9 Reaper, che consentono ai militari di avere una visione dell’intero Sahel e, in particolare, della Libia, che è la via d’accesso al Mediterraneo.

La partenza forzata dei militari Usa, se sarà confermata, rappresenta un enorme passo indietro per Washington che, specie negli ultimi tempi, si era mostrata piuttosto conciliante nei confronti della giunta, nell’evidente timore di vedersi estromessa da un Paese strategico, col serio rischio di vederlo scivolare nell’orbita russa, così come i vicini Mali e Burkina Faso. Sebbene a ottobre scorso gli Usa avessero ufficialmente definito la presa del potere militare in Niger, e la destituzione del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum, un colpo di Stato (con tutte le conseguenze, anche finanziarie, che ciò comporta), a dicembre l’inviato Usa per l’Africa, Phee, aveva affermato che gli Stati Uniti erano disposti a ripristinare gli aiuti e i legami di sicurezza se il Niger avesse soddisfatto determinate condizioni. “Nelle nostre discussioni ho confermato l’intenzione degli Stati Uniti di riprendere la cooperazione per la sicurezza e lo sviluppo in fasi, di pari passo con le azioni del Cnsp”, aveva detto Phee nel corso di una conferenza stampa tenuta a Niamey dopo aver incontrato i vertici della giunta, tra cui il leader della transizione Abdourahamane Tchiani (che invece non l’ha ricevuta la scorsa settimana).

Prima dell’annuncio di sabato, il Niger aveva precedentemente messo fine alla cooperazione militare con la Francia. Dopo un lungo tira e molla diplomatico, culminato con l’espulsione dell’ambasciatore francese a Niamey, lo scorso 24 settembre il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva così annunciato il ritiro del contingente ancora presente in Niger, ritiro iniziato il 5 ottobre e completato il 22 dicembre. Dal 2015 la Francia aveva inviato circa 1.500 militari nel Paese africano per contribuire a contrastare l’intensificarsi dell’insurrezione jihadista. Le truppe francesi erano stanziate nella capitale Niamey e nelle basi di Ouallam e Ayorou, vicino al confine con il Mali. Successivamente, nel dicembre scorso, la giunta aveva annunciato la sospensione degli accordi di difesa e sicurezza con l’Ue, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato, il ministro degli Esteri di Niamey aveva annunciato in particolare la revoca l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione. Oltre alla missione Eucap, la giunta nigerina aveva comunicato di aver ritirato il consenso concesso per il dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm), attualmente a guida italiana, annunciano inoltre l’intenzione di revocare “i privilegi e le immunità” concesse nel quadro di questa missione, senza fornire ulteriori dettagli.

Nel Paese resta invece presente l’Italia con la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin), autorizzata dal Parlamento nel 2018 e istituita al fine di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto di Unione europea e Stati Uniti per la stabilizzazione dell’area, il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel e le attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio e di sviluppo della componente aerea. La missione – la cui area geografica di intervento è allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin – conta attualmente circa 350 effettivi e 13 mezzi, tutti terrestri. Il contingente, dislocato in un hub operativo-logistico completato nel giugno 2022 e situato all’interno dell’aeroporto di Niamey, comprende squadre di ricognizione, comando e controllo, e addestratori, da impiegare anche presso il Defense College in Mauritania, personale sanitario e del Genio per lavori infrastrutturali, squadra rilevazioni contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (Cbrn), unità di supporto, force protection, raccolta informativa, sorveglianza e ricognizione a supporto delle operazioni (Isr).

Il Niger, insieme ai vicini Mali e Burkina Faso (anch’essi guidati da giunte militari salite al potere attraverso dei colpi di Stato negli ultimi tre anni), è considerato sempre più vicino alla Russia, che negli ultimi anni ha compiuto sforzi concertati per espandere la sua influenza nella regione, soprattutto attraverso partenariati nel settore della sicurezza, e nel dicembre scorso i due Paesi hanno annunciato la firma di un accordo che prevede il rafforzamento della cooperazione militare fra i due Paesi in occasione della visita a Niamey del viceministro della Difesa russo, Junus-bek Yevkurov. Anche nel vicino Burkina Faso negli ultimi mesi la Russia ha schierato alcune centinaia di soldati dell’Africa Corps – che è descritto dai funzionari russi come il successore del gruppo mercenario Wagner – mentre si stima che circa mille militari russi stiano combattendo al fianco dell’esercito maliano contro i gruppi jihadisti. In Mali, infine, dopo il doppio colpo di Stato del 2020 e 2021, la giunta militare ha rafforzato i rapporti con Mosca, rompendo definitivamente quelli con la Francia. È il caso di ricordare che di recente, a novembre, la giunta di Bamako ha firmato un accordo con Mosca che include la realizzazione di una raffineria d’oro nella capitale. L’accordo, ha riferito il ministero maliano in una nota, prevede la costruzione della raffineria per lavorare 200 tonnellate di oro all’anno e si intende valido per quattro anni, sebbene nel documento non siano specificate le tempistiche di costruzione.
 
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