SPECIALE DIFESA

 
 

Speciale difesa: la nuova versione Usa sull'assassinio di Mughniyeh potrebbe danneggiare colloqui su nucleare iraniano

Gerusalemme, 03 feb 2015 15:15 - (Agenzia Nova) - Ha fatto molto discutere in Israele la pubblicazione da parte della stampa statunitense di una nuova versione sull’assassinio di Imad Mughniyeh, all’epoca dei fatti (era il 2008) capo della sicurezza del movimento sciita libanese Hezbollah. Sebbene abbia sempre negato ufficialmente il proprio coinvolgimento nell’azione, l’intelligence israeliana, il Mossad, è sempre stata considerata dal Partito di Dio responsabile dell’omicidio, avvenuto a Damasco mediante l’esplosione di un’autobomba. Gli stessi servizi di Tel Aviv avevano cercato in più circostanze di colpire Mughniyeh nel corso degli anni precedenti. Citando cinque ex ufficiali della Cia in condizioni di anonimato, il “Washington Post” ha rivelato che l’operazione sarebbe stata in realtà preparata in un primo momento proprio dall’intelligence statunitense. La Cia, secondo la ricostruzione del “Washington Post”, avrebbe preparato il campo per l’attacco dopo aver avuto sentore della possibilità di colpire sia Mughniyeh che il generale iraniano Qassem Suleimani, capo della Forza Qods, il braccio all’estero dei Pasdaran iraniani. Ma avrebbe ottenuto l’autorizzazione a colpire solo il primo, del quale era stata provata “la capacità di minacciare gli statunitensi” attraverso l’armamento e l’addestramento delle milizie sciite in Iraq all’epoca impegnate nel contrasto alle truppe statunitensi. Il compito della Cia, tuttavia, fu quello di tracciare gli spostamenti dell’operativo di Hezbollah a Damasco. Agli israeliani, secondo le fonti del “Washington Post”, fu invece lasciato il compito di “premere il grilletto”.

Assolutamente singolare è la tempistica con cui emerge la nuova versione dei fatti, a tanti anni dalla morte del leader militare di Hezbollah. Solo il 18 gennaio scorso, infatti, un raid condotto da Israele nel sud della Siria ha causato l’uccisione di Jihad Mughniyeh, figlio di Imad, insieme ad altri cinque operativi di Hezbollah e al generale iraniano Mohammed Ali Allahdadi. Un attacco cui il Partito di Dio ha risposto mercoledì scorso con un’azione condotta attraverso il lancio di razzi anti-carro contro una pattuglia delle Forze di difesa israeliane (Idf), nella quale hanno perso la vita due militari. Inoltre, le nuove rivelazioni di ex ufficiali della Cia al “Washington Post” arrivano mentre è in corso negli Stati Uniti una serrata partita sull’approccio da tenere nei confronti del dossier nucleare iraniano. Il Partito repubblicano sta facendo pressioni per l’imposizione di un nuovo pacchetto di sanzioni nei confronti di Teheran. La Casa Bianca, però, ritiene che una tale misura possa minare seriamente l’esito dei colloqui sul nucleare in corso a Vienna tra l’Iran e il Gruppo P5+1, costituito dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania). Dopo la prima proroga dei negoziati lo scorso novembre, l’Iran ha già fatto sapere che non accetterà un nuovo prolungamento dei colloqui dopo la scadenza del prossimo 30 giugno. La posizione dei repubblicani riflette quella di Israele. Non a caso, lo scorso gennaio è stato il repubblicano John Boehner, presidente del Congresso, a invitare a Washington a inizio marzo il premier israeliano Benjamin Netanyahu per una visita non concordata con la Casa Bianca. Nella circostanza, è previsto un discorso sulla questione nucleare da parte del capo del governo di Tel Aviv. Un intervento che con tutta probabilità non sarà in linea con la strategia assunta dall’amministrazione di Barack Obama sul dossier iraniano.

In quest’ottica, appare chiaro come il coinvolgimento degli Stati Uniti nell’assassinio di una figura assai legata ai vertici dei Pasdaran quale Imad Mughniyeh rischi di avere importanti ripercussioni a Teheran, dove è in corso uno scontro altrettanto duro tra la fazione favorevole ai negoziati sul nucleare e i conservatori. Indicativo, in tal senso, è anche il riferimento a Qassem Suleimani, forse la personalità più influente dell’establishment militare iraniano e più vicina alla Guida suprema della rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei. L’obiettivo delle rivelazioni al “Washington Post” potrebbe essere allora proprio quello di scoraggiare gli ambienti iraniani più dialoganti con l’Occidente e favorire, dall’altra parte, la linea sposata da Israele e dai repubblicani statunitensi. Altra interpretazione è invece quella del quotidiano israeliano “Jerusalem Post”, secondo cui il messaggio convogliato attraverso l’articolo del “Washington Post” è in realtà diretto a Tel Aviv e al premier Netanyahu e dice pressappoco: “Avete bisogno di noi”. “Guardate – direbbe in questo caso la Cia al Mossad - a che cosa può portare la cooperazione tra le nostre due intelligence, che rischia di essere danneggiata dalle politiche del vostro primo ministro”. La nuova versione sull’assassinio di Mughniyeh, afferma inoltre la “Jerusalem Post”, indica che “qualcuno avrebbe voluto prendersi il merito dell’operazione”. (Res)
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