SPECIALE DIFESA

 
 

Speciale difesa: stampa israeliana, a due anni da Protective Edge la situazione è "esplosiva"

Gerusalemme, 11 lug 2016 15:45 - (Agenzia Nova) - Due anni fa è scoppiato a Gaza uno dei conflitti più lunghi ed impegnativi nella storia di Israele, e nonostante il cessate il fuoco raggiunto con il movimento islamista di Hamas per il momento regga, la linea di demarcazione con Gaza oggi è “esplosiva come sempre”. Lo sostiene un'analisi del quotidiano israeliano "Jerusalem Post", che ripercorre le tappe dell'operazione Protective Edge e analizza la situazione attuale. L’operazione militare Protective Edge ha suscitato e continua a provocare un intenso dibattito nel panorama politico israeliano, che ne evidenzia i limiti. Nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano israeliano “Yediot Ahronot”, il parlamentare dell’Unione sionista Erel Margalit, ha sottolineato come dopo due anni non sia stato ancora rilasciato un documento ufficiale da parte del ministero della Difesa e di quello degli Esteri per far luce sui “fallimenti” della campagna militare su Gaza. Margalit fa notare come ci siano state circa 90 sedute del parlamento per discutere di questa operazione, che ha provocato la morte di 68 soldati israeliani e quattro civili. Tuttavia, “gli interessi politici stanno impedendo la pubblicazione del rapporto”, ha precisato Margalit. “L’operazione Protective Edge è stata piena di errori politici e militari di ogni genere”, ha aggiunto il parlamentare, che ha inviato una lettera a Avi Dichter, presidente della Commissione difesa e sicurezza incaricata di rilasciare il report, per sollecitarne la pubblicazone. Dicher, dal canto suo ha definito la questione “molto difficoltosa”, ma ha assicurato che un report verrà rilasciato. Il suo predecessore, Tzachi Hanegbi, aveva risposto alle accuse dicendo che “non aveva scritto la relazione perché all’epoca dell’operazione, sia la leadership militare che quella politica sapevano delle minacce causate dai tunnel (…). Tutto il resto appartiene alle lotte intestine del partito Likud”.

Offrendo una panoramica sulla situazione attuale, l’editoriale di “Jerusalem Post” sostiene che a Gaza, Hamas sta lavorando per ricostituire i suoi arsenali di razzi, attraverso la sua industria locale di produzione di armamenti, nel tentativo di trovare nuovi modi di sopraffare il sistema d’arma mobile per la difesa antimissile di Israele, l'Iron Dome, che ha dimostrato di essere efficace durante l'ultima guerra (2014). Hamas spera di raggiungere questo obiettivo concentrandosi sulla maggiore precisione dei razzi a corto raggio e i colpi di mortaio. Il sistema Iron Dome, a sua volta, vanta miglioramenti rispetto alla versione utilizzata nel 2014. Le batterie possono intercettare obiettivi mobili su un raggio più ampio rispetto al passato e sono dotate di altre caratteristiche “non divulgate”. Dal canto suo, Hamas ha scavato una nuova rete di gallerie sotterranee in tutta Gaza, due delle quali sono stati scoperte di recente utilizzando le nuove tecnologie di Israele. Negli ultimi anni, Hamas avrebbe acquisito sempre più potere e controllo a Gaza e potrebbe essere pronta ad intraprendere una “guerra senza fine” con Israele, prosegue ancora la stampa israeliana, facendo notare che Gerusalemme potrebbe non limitarsi alla deterrenza, come avvenuto in passato, ma potrebbe “distruggere” il braccio armato di Hamas nell’eventualità che ci fosse un altro conflitto. Secondo alcuni analisti, l’ala militare di Hamas non ha interesse a sviluppare il benessere socioeconomico della popolazione di Gaza, e vedrebbe la Striscia come “la fortezza del jihad, verso cui orientare tutte le risorse”. Per quanto riguarda la “vivibilità” a Gaza, il quotidiano israeliano fa notare come l’economia della zona abitata dalla popolazione palestinese sia “ostaggio” di Hamas e “sta collassando”.

Nell'estate del 2014, l'esercito israeliano e il movimento islamista di Hamas hanno combattuto a Gaza per 50 giorni. Le città israeliane sono divenute bersaglio dei razzi lanciati da Hamas, che venivano intercettati dal sistema radar israeliano Iron Dome. Parallelamente, le unità terrestri dell'Esercito israeliano hanno individuato e distrutto 34 tunnel scavati a ridosso della linea di demarcazione, mentre l'aviazione ha bombardato centinaia di obiettivi di Hamas, nascosti nei pressi di edifici residenziali, ospedali e moschee. Secondo le valutazioni fornite dalle Forze di difesa israeliane (Idf), il conflitto è stato innescato da Hamas, che si è trovato progressivamente isolato a livello regionale, in seguito alla perdita del suo alleato egiziano, i Fratelli musulmani. Hamas in quel periodo rischiava di perdere il controllo di Gaza, dove gestisce di fatto il potere dal 2006, in seguito alla vittoria alle elezioni. L’editoriale fa notare come oggi la situazione di Hamas non sia cambiata molto, perché il movimento continuare ad essere in parte isolato e gode dell’appoggio di pochi sostenitori regionali. L'ala politica di Hamas fatica ad accettare le richieste di lealtà dell'Iran sciita, temendo che questo la isolerebbe ulteriormente dalle potenze sunnite. Il braccio armato è meno interessato alle dinamiche settarie ed ha invece bisogno di soldi e armi da Teheran. Esisterebbe, quindi, una divisione intestina all'interno di Hamas. Sul fronte opposto, Israele sta costruendo un muro sotterraneo, che dovrebbe essere terminato nei prossimi 18 mesi, per evitare che vengano scavati tunnel da Hamas.

Anche Amnesty International è delusa per la mancanza di risposte in merito ai “crimini di guerra commessi da Israele e dai palestinesi”, secondo un rapporto del gruppo per i diritti umani con sede a Londra. Il rapporto sostiene che entrambe le parti si siano macchiate di crimini di guerra, ma "nessuna delle due ha punito i colpevoli o condotto indagini penali indipendenti". In particolare, Amnesty condanna le indagini condotte da Israele, sostenendo che manchino "d'indipendenza e imparzialità". La relazione rileva che l'Avvocatura generale militare, oltre ad avere un ruolo di primo piano nelle indagini, sovrintende la consulenza legale delle forze israeliane, anche se questi due compiti dovrebbero essere indipendenti l'uno dall'altro. Altre organizzazioni umanitarie, invece, pongono l'accento al fatto che ci sia ancora un alto numero di sfollati e soltanto una parte delle case distrutte nel 2014 sono state ricostruite. Gli aiuti umanitari esterni, tuttavia, continuano a giungere a Gaza, sia dalle Nazioni Unite che da paesi limitrofi. Pur permanendo l'embargo su Gaza, lo scorso 3 luglio la nave turca Lady Leyla, con a bordo 10 mila tonnellate di aiuti umanitari per la Striscia di Gaza, ha raggiunto il porto israeliano di Ashdod. La nave, partita dal porto turco di Mersin, aveva a bordo cibo, giocattoli, vestiti e scarpe. Turchia e Israele hanno firmato martedì scorso 28 giugno un accordo di riconciliazione che mette fine a sei anni gelo diplomatico dopo l'assalto di un commando israeliano alla nave Mavi Marmara, in cui nel maggio 2010 rimasero uccisi dieci attivisti di nazionalità turca. In virtù dell’intesa, lo Stato ebraico ha concesso l’accesso degli aiuti umanitari turchi a Gaza e la realizzazione di progetti infrastrutturali a favore della Striscia. La nave Lady Leyla è la prima a consegnare gli aiuti dopo l'accordo del 28 giugno. Il blocco navale israeliano sulla Striscia di Gaza però continuerà, come sottolineato dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in una dichiarazione fatta alla stampa. “Israele non intende fare compromessi sul blocco navale”, ha detto Netanyahu, spiegando che si tratta di una misura “di interesse nazionale" per lo Stato ebraico. (Res)
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