Chisinau, 11 lug 2016 16:00 - (Agenzia Nova) - Favorire il ritiro del contingente militare di peacekeeping russo dispiegato in Transnistria: questa sarebbe la richiesta che il ministro della Difesa moldavo, Anatol Salaru, avrebbe avanzato ai paesi partner della Nato nel corso del summit che si è tenuto l’8 e il luglio a Varsavia, in Polonia. A riportare la notizia è l’agenzia di stampa russa “Ria Novosti”, che cita fonti del ministero della Difesa moldavo. La Transnistria è una regione separatista filorussa situata nell’area orientale della Moldova che, dall’indipendenza di Chisinau, è causa di attriti con Mosca. L’influenza russa sulla Transnistria è evidente: nella regione è di stanza una missione di peacekeeping russa composta da 1.200 militari, ufficialmente posti a guardia dei consistenti depositi di munizioni lasciati in loco dalle armate sovietiche. Dopo il cessate il fuoco del luglio del 1992, i negoziati per risolvere la disputa fra Chisinau e Tiraspol (capoluogo transnistreno) sono proseguiti senza reali progressi. Durante il suo intervento nel corso del summit della Nato, cui la Moldova ha partecipato in qualità di paese membro del Partenariato per la pace (meccanismo creato per favorire la cooperazione fra i membri della Nato e paesi interessati a collaborare con l’Alleanza), il ministro Salaru ha sottolineato che, nonostante la sua neutralità militare, in Moldova permane un “fronte aperto di stallo non militare” con la Russia. Un chiaro riferimento alla questione della Transnistria dove, secondo Salaru, “la propaganda, le misure economiche e il dispiegamento delle forze russe” restano “una costante fonte di preoccupazione”. Il ministro ha quindi rivolto un appello ai paesi partner: "Noi chiediamo di sostenere la nostra iniziativa di trasformare la missione in Transnistria in una missione civile multinazionale", ha detto Salaru.
La Moldova, sostanzialmente, insiste anche sul fatto che “le forze e le attrezzature militari della Federazione russa vengano ritirate dal territorio nazionale in conformità con gli obblighi internazionali”. Infine, nel suo discorso, Salaru ha anche proposto l’opportunità di organizzare in Moldova esercitazioni internazionali fra i paesi membri della Nato e quelli del Partenariato per la pace nel 2018: l’intento, secondo il ministro, sarebbe rendere il paese una piattaforma per un nuovo centro di formazione regionale per le forze dell'Alleanza. "La Moldova attuerà il massimo sforzo per diventare un partner affidabile dell’Alleanza", ha concluso Salaru. I propositi di Chisinau di integrazione euro-atlantica, tuttavia, restano sempre in una fase di stallo, non certo favorita dalla crisi politica che ha colpito il paese nell’ultimo anno. Al momento una soluzione della questione transnistrena sembra un’ipotesi decisamente lontana. I negoziati volti a favorire il processo di pace sono in corso dal 1994, ma i risultati raggiunti durante i colloqui sono stati spesso sporadici o non applicati sul terreno. Ai negoziati partecipano, oltre a rappresentanti di Moldova e Transnistria (che dal punto di vista tecnico agiscono sulla base di un armistizio che segue gli scontri di inizio anni Novanta), anche la Russia, l’Ucraina e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che hanno il ruolo di mediatori. Inoltre nel 1998 hanno preso il loro posto al tavolo dei negoziati nel ruolo di semplici osservatori Stati Uniti e Unione europea, uno status preservato nel tempo data la pressoché totale inattività del loro impegno per una concreta risoluzione della questione.
La Russia, è chiaro, ha sempre avuto un ruolo predominante nel processo negoziale: tralasciando Tiraspol, dove c’è alla guida un Soviet supremo che fa riferimento direttamente a Mosca, per lungo tempo prima della “svolta” pro-europea anche a Chisinau si sono susseguiti rappresentanti istituzionali filorussi, come il leader socialista Vladimir Voronin, che ha ricoperto la carica di presidente dal 2001 al 2009. Il discorso vale anche per gli altri attori seduti al tavolo dei negoziati: l’Ucraina e l’Osce. Kiev fa parte del processo di pace da prima della cosiddetta “Rivoluzione arancione” del 2003 e quindi prima anche della crisi diplomatica in corso con Mosca dall’annessione unilaterale della Crimea e dai conseguenti scontri armati nell’area orientale dell’Ucraina. La Russia, inoltre, è uno dei principali paesi membri dell’Osce. D’altronde, il fatto che Mosca continui a svolgere un ruolo non solo in Moldova e in Transnistria, ma più in generale in tutta l’ex area sovietica non è un mistero. Risulta difficile credere che Mosca, durante il processo negoziale, non abbia mai avuto la possibilità di favorire delle concessioni fra le parti, in particolare nel primo decennio di negoziati, quando aveva presa su tutte le parti in causa. Se ciò non è avvenuto è perché evidentemente la Russia ha preferito mantenere questo status di instabilità e di incertezza, tenendosi così aperta l’opportunità, in caso di uno scenario estremo, anche di un intervento armato. Quest’opzione riflette anche le velleità della Moldova, emerse negli ultimi cinque anni in cui nel paese è emersa una corrente che spinge all’abbandono della neutralità, prevista nella Costituzione, e all’avvicinamento verso la Nato, una possibilità che chiaramente a Mosca non è gradita.
Nel caso specifico della Transnistria, l’interesse russo riguarda proprio quei 1.200 militari di stanza nel territorio della regione separatista. Anche se non si tratta di un elevato numero di militari, e che quindi non necessitano di grandi approvvigionamenti, garantire il collegamento logistico è una condizione assolutamente necessaria per Mosca per consentire la rotazione del personale e, in caso di inasprimento della situazione, poter eventualmente rafforzare le truppe. Il contingente russo, costituito una ventina d’anni fa in seguito alla riorganizzazione dei contingenti dell’Armata rossa, è stato dispiegato in Transnistria con un unico obiettivo: difendere i depositi di armamenti e munizioni russe presenti in loco, un retaggio dell’epoca sovietica. L’armeria più importante è quella di Cobasna, una piccola municipalità situata nell’area settentrionale della Transnistria, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina. Nel deposito di Cobasna sarebbero presenti circa 20 mila tonnellate di armi e munizioni, un riserva non indifferente, che pone delle problematiche sia alla leadership transnistrena – Tiraspol da sempre considera troppo esiguo il numero di militari a protezione del sito –, sia alle autorità ucraine che temono la minaccia di questo deposito bellico. Con questa chiave di lettura la nomina dell’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili a governatore di Odessa, l’oblast ucraino che confina con la Transnistria, riflette i timori di Kiev di una possibile espansione della crisi che affligge le regioni orientali e che gli accordi di Minsk non hanno risolto, rendendola piuttosto un “conflitto latente”. (Moc)
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Lorenzo Guerini
Ministro della Difesa
22 luglio 2021